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Smartphone e tablet ci permettono di fotografare tutto quello che accade in tempo reale, di cristallizzare ogni momento senza lesinare sui megapixel. Le potenzialità offerte dalle fotocamere dei nostri cellulari sono infinite e hanno stravolto molti aspetti del quotidiano, soprattutto in termini di circolazione di informazioni visive.
L’abitudine dello scatto raggiunge i massimi livelli all’interno dei musei. Le opere ferme in bella mostra sui loro piedistalli sono facili prede per fotografi seriali di tutte le età. L’estenuante rituale delle foto mette di fatto una barriera tra il visitatore e l’opera che sta guardando, uno schermo luminoso attraverso il quale congelare la realtà e al contempo svilire l’esperienza contemplativa. Bisogna poi aggiungere che dalla foto al selfie il passo è breve, e neanche il mondo dell’arte è immune a quest’evidenza. Che sia con la Cappella Sistina, con un Picasso o con l’ultima opera di Hirst poco importa, autoimmortalarsi con grandi opere è ormai ufficialmente sdoganato.
A chi solleva perplessità sull’invasione di flash nei musei si rinfaccia di voler fermare un cambiamento già in atto, ma sta di fatto che meno fotografie e più contemplazione non guasterebbero, o no? (Giulia Testa)





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