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C’è chi dice 200mila euro. Poi qualcuno spara 660mila, e alla fine il jackpot: 2,5 milioni. Per cosa? Per identificare il valore di un dipinto di Ike Andrews, al museo di Arhnem, in Olanda. Non sforzatevi di capire: stavolta si tratta di una bufala bella e buona, contenuta in un video che siamo sicuri diventerà presto un tormentone anche in Italia. E, se non lo diventerà, resterà comunque la prova tangibile di come intorno all’arte contemporanea, anche gli occhi degli spettatori “esperti”, possano essere traditi dal contesto. Ma andiamo per gradi: un giovanotto in veste di guida porta, installato sopra un classico cavalletto, un dipinto venduto normalmente all’Ikea e dal valore commerciale di pochi euro, dentro il museo della cittadina dei Paesi Bassi, iniziando con i visitatori una sorta di speculazione sullo stile, sulla tecnica e sulla forma raffigurata, portando gli appassionati amanti dell’arte a sbottonarsi a tal punto da definire l’opera del fantomatico e sconosciuto pittore (che qualcuno però afferma di aver già sentito nominare) un vero e proprio capolavoro definito “simbolista”, “espressivo di caos mentale”, “indicativo d’emozione”, “primordiale”, “vicino alle forme dell’arte africana”. Già. E poi la rivelazione. «It’s from Ikea», dice il ragazzo. Sonore risate, incredulità e alcune facce perplesse che tradiscono un eufemistico “Oh, cavolo”. Gabbati.
Possibile che nessuno abbia fatto caso alla tecnica, alla dimensione? Possibile che nemmeno i più giovani si siano accorti fosse una stampa? Possibile il grado di assuefazione nel considerare il contemporaneo qualsiasi cosa di “strano” sia così forte e radicato? A noi verrebbe da dire di no, eppure i fatti – e le facce – parlano chiaro.
Un gioco, messo in scena dal network televisivo LifeHunters, che ahinoi tradisce la realtà del contemporaneo serio e, ancora una volta, porta l’arte di oggi sul piano della freddura da Settimana Enigmistica. Peggio ancora, a quel pensiero che per più di qualcuno è vangelo: che l’arte contemporanea sia una bufala, e che non sussista alcuna differenza tra quello che si vende nella più grande holding dell’arredamento di serie e i “prodotti” esposti nei circuiti ufficiali dell’espressione umana della bellezza: i musei.
Boccaloni i visitatori? Forse. O forse perfettamente calati nella lezione di Duchamp, che letta in maniera superficiale rivela che tutto quello che l’artista “Re Mida” tocca diventa automaticamente prezioso? Le contingenze della società post-spettacolo, dell’idolatria, dell’arte come status symbol di un sapere elitario insieme a tutti gli altri luoghi comuni su sistema e legittimazione si sprecano, lasciando spazio a un ampio margine di riflessione. Stavolta ne abbiamo bisogno, dopo risate poco rilassate. (MB)
Il termine IKEA EVOLUTA è apparso sul blog whitehouse nel 2009, ma in Italia ci piace arrivare tardi, accettiamo solo cose che vengono dall’estero. Forse perché viviamo un grande complesso di inferiorità, per cui non possiamo pensare aiutare e valorizzare un connazionale: se siamo tutti mediocri anche la mediocrità del Sig. Rossi è al sicuro. Speriamo che questo processo possa aiutare questo paese come Fantozzi ha aiutato centinaia di ragionieri che assomigliavano proprio a Fantozzi.
Segnalo questa mostra curata da Luca Rossi a Piacenza nel 2014, dove ogni opera proveniva dall’IKEA, ma si sa “nemo profeta in patria”: http://www.placentiaarte.it/eventi/232/