11 novembre 2014

Omicidio Van Gogh?

 
Suicidio o delitto? Riappare la versione sulla fine dell’artista per omicidio colposo. Stavolta su Vanity Fair

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Riscrivere la storia non è compito facile, e quando nel 2011 Steven Naifeh e Gregory White Smith (Premi Pulitzer, mica pizza e fichi) scrissero che la morte di Van Gogh era stata un omicidio furono brutalmente attaccati.
Ora gli autori della biografia del pittore ci riprovano su Vanity Fair di dicembre, raccontando che Van Gogh fu colpito accidentalmente da un uomo di nome René Secrétan, che confessò di essere a capo di una gang di teppisti adolescenti che avevano il vizio di girare con una pistola mal funzionante. 
Secondo Naifeh e White Smith, due giorni prima della morte di Van Gogh un proiettile vagante sparato da lontano colpì il pittore all’addome mentre si trovava nei campi di Auvers. Ci vollero più di 29 ore di agonia prima di morire, non essendo stati colpiti organi vitali. La pistola con cui si sarebbe ucciso il pittore infatti non sarebbe mai stata trovata. In più, da non sottovalutare, pochi giorni prima l’artista aveva scritto una lettera decisamente ottimistica al fratello Theo e nessun biglietto che parlasse di suicidio fu mai trovato. E allora perché la versione della morte autoindotta? Beh, si sa che il pittore aveva una storia di esaurimenti nervosi e una grande liason con l’alcool e quale migliore fine di un colpo di pistola? 
Una nuova immagine uscirebbe, ma cadrebbe il mito del maledetto e uscirebbe quella patetica: tutta una vita in versione inadeguata e una morte ancora più stupida.
Che non varrebbe l’aura dei 61 milioni di dollari con cui è stato battuto, solo pochi giorni fa e giusto per fare un esempio, il Vaso di margherite e papaveri, da Sotheby’s New York.

1 commento

  1. La vera arte pittorica non può dipendere dal pettegolezzo o dalla vita più o meno romanzabile e fatta di colpi di scena. Basta, in questo caso, leggervi il tormento interiore di una vita, la solitudine, l’incomprensione, l’emarginazione, la dipendenza economica e sentimentale, la fluttuazione di stati d’animo: tutto in un tempestoso dialogo con una natura che, nei dipinti, per lui vive e non vegeta.
    Alla sua morte in quel momento, comunque avvenuta, non ci si rassegna. Ci piace umanamente pensare che forse, vivendo, avrebbe finalmente venduto i suoi quadri e raccolto l’apprezzamento di cui aveva vitale bisogno.
    Ma poi, avrebbe ancora dipinto così?

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