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Al tempo di Caravaggio c’erano le nature morte, composizioni di fiori, frutta e verdura dipinte, meticolosamente studiate fino all’ultimo dettaglio, per creare una equilibrata armonia tra le parti. Noi, nell’era digitale, abbiamo foodblogger professionisti o aspiranti tali, che costruiscono i loro scatti di alimenti con un’architettura precisa e maniacale. Ogni cosa dev’essere al suo posto, ci dev’essere una luce adeguata, i giusti rapporti cromatici. Questa è parte della poetica che ritroviamo in The Cookbook, progetto fotografico di Lucia Fainzilber, in mostra da qualche giorno e fino a Settembre da Praxis, spazio espositivo di New York. Un’interpretazione tutta personale dell’egemonia visuale del cibo nell’arte contemporanea e, più in generale, nella società odierna. Ingredienti diversi, anche improbabili da accostare nel voler creare delle pietanze, messi insieme per creare nuove armonie, che interagiscono anche con le ciotole su cui si appoggiano, con lo sfondo. Guardare ma non toccare, o almeno non mangiare; la stessa filosofia che soggiace dietro ai post di cibo sui social, consumabili solo virtualmente, in un perenne stato di desiderio irrealizzabile.
Il colore è sempre stato un’ossessione per la fotografa, che con questa serie di scatti variopinti si concentra proprio sui rapporti cromatici delle sue composizioni, precise quanto avrebbe potuto essere una canestra di frutta di Caravaggio. Fainzilber racconta che l’ispirazione è nata proprio dai colori della città in cui vive, New York. La metropoli è un crogiolo di culture e di nuovi ingredienti provenienti da ogni parte del mondo, per soddisfare tutti i palati. Andare al mercato significa trovare ingredienti diversi per colore e composizione: liscio, ruvido, lucido, opaco, molle. Nel suo sito, la fotografa racconta che la sua condizione di immigrata, argentina ma trapiantata negli USA, le ha permesso di riflettere sul concetto di identità, sul mescolare le singole parti in un’unica variopinta struttura. Le singole identità, i singoli ingredienti, non si smarriscono nella composizione, anzi la arricchiscono di nuove sfumature. In questo risiede l’anima del progetto. Se prima il Libro di Cucina, The Cookbook appunto, era un fatto privato, il quaderno delle ricette appuntate, si trasforma in atto pubblico, virale, che riflette sulla natura del cibo, non più solo esigenza biologica, ma fatto estetico a tutti gli effetti. (Yasmin Riyahi)