09 dicembre 2018

Un obiettivo delicato per i Gentlemen di Bacongo

 

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I Sapeurs si vestono in modo elegante e con estrema cura nei dettagli. Camminano fieri lungo le strade impolverate o fangose di Brazaville, capitale del Congo, mentre gli altri abitanti applaudono al loro passaggio. Questi signori africani, anche se poverissimi, spendono fortune pur di avere abiti dei più famosi stilisti al mondo. Risparmiano anche per anni o s’indebitano pur di comprare un paio di scarpe firmate. 
Il contrasto tra povertà e abiti griffati, tra tradizione e voglia di evasione, di questi dandy d’Africa, sono rappresentati nelle fotografie di Daniele Tamagni con la delicatezza di chi sa mettere a fuoco l’assurdo del reale senza giudicarlo. Uno sguardo curioso il suo, che spinge ad avere curiosità. Uno sguardo che possiamo tutti mettere alla prova, andando a vedere “Gentlemen of Bacongo”, la mostra fotografica che inaugura il 19 dicembre 2018 alle ore 17, all’Urban Center, nella Galleria Vittorio Emanuele a Milano. E sarà aperta al pubblico dal 20 dicembre 2018, al 25 gennaio 2019. Il titolo della mostra di Daniele Tamagni, scomparso a 42 anni l’anno scorso, è lo stesso del fortunato libro pubblicato nel 2009, con la prefazione di Paul Smith, che vinse l’ICP Infinity Award per la categoria Moda nel 2010. Mentre nel 2011 l’autore vinse il 2° premio, nella categoria Arts and Entertainment Stories, del World Press Photo con uno scatto delle lottatrici Boliviane. 
L’obiettivo di Tamagni, ritrae i Sapeurs con i loro abiti impeccabili, tra le baracche e le strade più povere di Bacongo, il quartiere più popolare di Brazaville. E lo fa in modo delicato e senza enfasi. Riuscendo a comunicare lo stupore di un fenomeno sociale che potrebbe sembrare un prodotto della globalizzazione e invece ha radici nel periodo coloniale.  
La Sape, Société des Ambienceurs et des Personnes Elégantes, nasce con il ritorno da Parigi dei soldati congolesi della seconda guerra mondiale, i quali ogni domenica, esibivano i migliori vestiti che avevano riportato dall’Europa. 
Quello che era solo un modo di vestire divenne dagli anni ’70 in poi, una rivendicazione di libertà. Nell’ex Zaire, all’indomani dell’indipendenza dal Belgio, il maresciallo Mobutu prese il potere con la violenza e dettò regole ferree anche per l’abbigliamento. In chiave anticoloniale vietò l’uso di giacche, completi e cravatte e impose l’uso dell’abacost, una tunica ritenuta abbigliamento più conforme alle origini africane. Il musicista Papa Wemba, eroe della rumba zairese, fu tra i primi a opporsi alla divisa obbligatoria sfoggiando in pubblico completi occidentali e il movimento dei Sapeurs divenne una vera e propria protesta pacifica.
Oggi questo sfoggio di lusso per alcuni è considerato come una presa di possesso dei simboli del comando. Gli abiti dei colonizzatori sono indossati per affermare che i signori dell’africa adesso sono africani. Ma questo lusso inaspettato viene anche visto come un tragico feticismo che spinge a imitare lo style life edonistico degli vecchi oppressori e richiede sacrifici enormi da chi non ha neanche l’acqua corrente in casa. 
Ma quando passano i Sapeur per le vie di Brazaville, gli abitanti li festeggiano come fa il pubblico dello star system con gli attori del red carpet. E adesso sono loro a influenzare l’occidente basti vedere il video della Guinness o Losing you di Solange Knowles, la sorella di Beyoncé.  Se l’abito non fa il monaco, di sicuro il gentlemen di Bacongo fa la moda. (Enrico de Santis)

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