21 febbraio 2013

Il colpo del risveglio

 
Il colpo del risveglio
di Matteo Bergamini
Girlfriend in a coma. Dopo le polemiche. un punto di vista sul film che incrocia i dati di un fallimento. Con la rabbiosa voglia di riprendersi, a tutti i costi, un Paese a rischio eutanasia

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«Pina, stammi a sentire, se io sbaglio il voto questa volta va a finire che non mangiamo e non mangiate per una decina d’anni!» è la risposta che dà il ragionier Fantozzi alla moglie, in un vecchio film del 1983. Ci sentiamo un po’ così in questi giorni, storditi e coperti di responsabilità. Storditi da centinaia di punti di vista, da promesse di ogni genere, da continui rimpalli che non fanno che aumentare il nostro senso di inadeguatezza nei confronti di questa ragazza in coma che è l’Italia, che non sappiamo più nemmeno se riusciremo a prendere per i capelli. Ma che, retoricamente, non possiamo lasciare morire. O meglio, possiamo, consapevoli delle conseguenze che verranno.

Il documentario di Bill Emmott inizia con il “botto” del Titanic che urta l’iceberg, mutato nei successivi fotogrammi nella carcassa inclinata della Costa Concordia simbolo, forse ancor più di una tragedia, di un atteggiamento pavido, quello del comandante, quanto impunito, che dopo aver provocato il dramma se la dà a gambe, letteralmente bloccato di fronte agli ordini -all’etica!- di tornare a bordo. Un leit-motiv che da diversi lustri accompagna l’Italia, e che corrisponde a uno dei sette peccati capitali: l’ignavia. Marco Travaglio, una delle voci narranti del documentario lo racconta come «un peccatuccio, uno di quelli piccoli e nascosti, che si lavano in fretta perché rientrano nel campo della mancata presa di posizione». Che in fondo è un po’ come non andare a votare, perché tutti sono uguali. Un’ottima scusante che ha permesso la manipolazione del Belpaese da parte dei mangiafuoco che tutti conosciamo, e ora che l’allegra combriccola di studenti, leggi la popolazione anestetizzata, si è accorta dell’avvenuta trasformazione in muli da soma buoni solo per le casse dello Stato, qualcosa sta venendo a galla. Eppure ci si sente stanchi, privati della capacità di reagire, privi di strumenti. Come appena desti da un lungo sonno, un coma.

Ma quello che Bill Emmott e Annalisa Piras ci stanno dicendo, con il loro film, al di là del credo politico, esistenziale e della “casta” sociale di appartenenza, è che questo è il momento più importante e allo stesso tempo delicato, quello che ci spedirà in un lampo alla tomba – se continueremo a giocare alla roulette russa – oppure ci farà svegliare. E tornare alle occupazioni che rendono un Paese civile: scuola, lavoro, società, condivisione, consapevolezza. «Altrimenti l’Italia resterà solo uno sgangherato luna park» ci dice Emmott.
E un luna park sgangherato dopo un po’ non attira più nemmeno i turisti, stanchi di essere truffati sulla bellezza di un paesaggio che si è demolito, spesso anche perché non c’è stata la capacità di vedere oltre. Un’incapacità che arriva lapalissiana di fronte alla tragedia dell’Ilva di Taranto. Una donna, di casa nella zona dei “Tamburi”, racconta: «L’Ilva è un mostro, un divoratore di vite. Ma è un mostro che serve». Ma ne siamo davvero così sicuri? Davvero è preferibile farsi uccidere per un misero stipendio piuttosto che, semplicemente, cambiare direzione? Ma siamo sempre, ancora, in coma. È la sensazione di essere inermi, legati al tavolo di un dottore pazzo dedito a testare la nostra resistenza dopo averci resi innocui cerebralmente. Per una volta, però, non sono i fuggiaschi ad avere le carte in mano per cambiare le sorti di questa penisola; per una volta non sono quelli fuggiti all’estero “gli eroi” che ce l’hanno fatta. Per una volta, come raramente accade nei documentari, Girlfriend in a coma rovescia la situazione, alimentando una rabbia costruttiva, rendendo evidente il fatto che la coscienza di ognuno di noi potrà cambiare, o affossare, le cose.
L’impressione è che chi siede alle poltrone e corre per il governo italiano lo abbia ampiamente capito, tentando di correre ai ripari, cercando di apparire in video (ancora la televisione, sì) il più e il più a lungo possibile, per aggirare, scavare, raccontare, enfatizzare e promettere le stesse menzogne di sempre.

Tra i passaggi di speranza però, nella pellicola, ve n’è uno con il quale vale la pena di chiudere: “La cultura è l’unica cosa che tiene ancora unito il Paese”. Non sappiamo se sia vero, soprattutto perché la cultura in questi anni è stata semplicemente calpestata, e purtroppo le rovine di Pompei – giusto per usare un vero “luogo comune”- non ricresceranno, seppur lentamente, come un bosco dopo un incendio doloso. Uccidere la cultura, così come l’istruzione e il sistema giudiziario di un Paese, rientra nel delitto premeditato, il reato che nella legislatura penale è punito più severamente. Eppure dopo questo film la discesa negli inferi dantesca di Emmott, e delle statistiche buie dell’Italia rispetto agli altri Paesi del mondo, non mi sembra altro che lo specchio di un’altra visione, quella di Franco Vaccari che nel ’75, a Graz, salendo le scale del torrione del Castello, scattò l‘Esposizione in tempo reale n°12: Viaggio Trip-Lucido: una serie di incontri ravvicinati con un’umanità varia, composta da nani, giganti o gemelli, quella ricchezza umana, professionale e sociale che sembra non si riesca più riuscire a cogliere,  nemmeno con la “nostra” tanto celebrata creatività. Ma basta cambiare prospettiva, davvero. Ma stavolta decisamente, sbattendo sul tavolo i pugni e le ragioni, non permettendo di far sparare un colpo in fronte alla nostra fidanzata. Ma nemmeno a noi stessi. E se colpo deve essere, anche violento, che funga da sveglia per riportarci ad una realtà lucida.

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