16 febbraio 2019

INDEPENDENTS

 
A Padova, dal “Fusion Art Center” a “Neo”: intervista con Giovanna Maroccolo
di Jack Fischer

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L’incontro con Giovanna Maroccolo avviene a RAVE- East Village Artist Residency, durante la tre giorni dedicata all’inizio della residenza di Giuseppe Stampone. Ci riproponemmo di continuare il dialogo sul senso delle cosiddette strutture indipendenti, forse definibili di ricerca libera. Decido così di spostarlo pubblicamente su questa rubrica. Ci è sembrato che questa struttura che agisce su Padova dal 2015, in una sede condivisa, che vede insieme più forme d’arte, potesse aggiungere elementi d’interesse su quanto scritto fino ad ora: andando a toccare questioni di grande importanza, come la contaminazione e la condivisione e questioni d’interesse collettivo.
Fusion Art Center, questo è il nome, la direzione è tua, Iniziamo dai termini: cosa significa il termine fusione per te?
«Inizi con una domanda assai importante, dato che Fusion Art Center è il nome deciso a più teste per un progetto nato cinque anni fa, con l’obiettivo di rigenerare uno spazio pubblico inutilizzato e degradato da anni, l’ex Fornace Carotta di Padova. Eravamo inizialmente in cinque associazioni, decise a dare vita ad un centro culturale aperto alla comunità attraverso i linguaggi dell’arte. Il “fonderci” è stata la cosa più difficile, più che altro perché non avevamo un piano. Oggi se ci penso mi viene da sorridere a rivedere il nostro moto, disordinato ma bellissimo, che per quei due anni ha funzionato e anche bene! Fino al 2016 abbiamo curato la direzione artistica della Fornace, supportati economicamente da un bando, che ci ha permesso di dare vita ad una programmazione ricca e interessante per la città. La parola “fusione” ha assunto quindi quel significato difficile e importante che io personalmente ho capito solo poi. Ci ha richiesto di farci da parte, come singoli, per permettere un pensiero e un’azione collettivi. Rispetto a questo concetto ho maturato un pensiero per me oggi importante: l’ego non va demonizzato, può essere davvero un grande motore personale in grado di farci superare i periodi più impegnativi, l’importante è tenerlo dietro a spingerci, non davanti a trainarci. Il gruppo originale è cambiato negli anni, nuove persone si sono avvicinate e altre hanno seguito la propria strada, permettendo al F.A.C. di assumere la forma più definita che ha oggi. La mia presenza è rimasta costante e questo ha fatto si che la linea artistica si delineasse sempre più con la ricerca nell’ambito dei linguaggi contemporanei e della curatela come pratica di ricerca».
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hear the noise!, formazione Pietro Gaglianò
Avete trovato una casa condivisa, si chiama NEO, chi sono gli altri coinquilini, come strutturate lo spazio, la programmazione e come si sviluppa la convivenza? Quale l’importanza di non essere soli in un viaggio culturale?
«Neo è uno spazio che abbiamo voluto fortemente, lo abbiamo immaginato, disegnato e scelto insieme ad un’altra associazione che oggi vi ha sede, si chiama Metaarte Arte e Cultura e si occupa da molti anni di teatro, musica e performance. La terza associazione si chiama Fusmart ed è stata fondata da una delle persone che hanno creato il F.A.C. ai tempi della Fornace. Si occupa di musica e di formazione in ambito artistico/musicale. Abbiamo iniziato a lavorare al progetto nel 2017, non avevamo né lo spazio né l’idea di quanti saremmo stati a dargli vita. In un anno di costanti riunioni e ricerche abbiamo definito il nostro piano (già, questa volta un piano lo avevamo!) e abbiamo aperto le porte di questo luogo, nuovo per la città e anche per noi. È un ex negozio, prima che arrivassimo noi era chiuso da 25 anni e il proprietario ha dovuto fare diversi lavori prima che potessimo utilizzarlo. Solo una persona estremamente lungimirante avrebbe accettato di investire in noi e quindi nell’azione culturale come forza rigenerante e noi ci sentiamo sicuramente fortunati. Al piano terra lo spazio è aperto, lo utilizziamo tutti per gli eventi, le presentazioni, le esposizioni, i corsi. C’è anche una zona salotto/bar per i soci. Poi c’è lo spazio che amo di più, il seminterrato. È molto lungo e ha un’estetica più industriale, adatta a certi tipi di esposizioni e performance, oltre che per le prove di teatro. In fondo al corridoio si apre un’ulteriore grande spazio che è il nostro magazzino. La nostra organizzazione interna è elastica e si basa su un calendario condiviso, nel quale ognuno può segnare i giorni che occuperà. Cerchiamo di venirci incontro e di trovare soluzioni comuni nel caso di date sovrapposte. Nel primo anno (che termina a Marzo 2019) ognuno ha cercato di prendere le misure della propria attività nello spazio e nella convivenza, essendo per tutti un grande cambiamento, in particolare per quanto riguarda il mantenimento dell’identità dei singoli gruppi. Dal 2019 abbiamo deciso di dedicarci invece al rafforzamento dell’identità di Neo, a partire dall’immagine coordinata e dalla programmazione. Sai, penso che nel nostro ambito oggi non sia più possibile lavorare da soli, o perlomeno non se vogliamo che la nostra azione produca un effetto sul luogo che abitiamo. Mi viene in mente un termine utilizzato da Bauman che per me significa davvero molto: Generatività. È un termine che per essere spiegato va legato ad un altro concetto fondamentale, la libertà: la sua rivendicazione ci ha portati a conquistare il benessere economico, i diritti democratici e il pluralismo culturale che conosciamo oggi, però allo stesso modo ci ha anche trainati verso un individualismo sempre più legato al consumo di beni, di esperienze, di relazioni, rendendoci estranei dall’idea di condivisione. La Generatività quindi è prima di tutto una presa coscienza e poi una scelta, che parte dalla capacità di “far coincidere lo sviluppo di sé con la cura dell’altro”. Inizia dalla condivisione della propria conoscenza e del proprio lavoro, non più basato sulla scelta individuale del possedere, ma su quella collettiva del generare. Lo trovo davvero fortissimo».
Nel vostro statement trovo: “curatela come pratica di cambiamento e attivismo” che cosa vorreste cambiare e perché?
«Te l’ho detto che nel mio biglietto da visita c’è scritto “esploratrice”? Qualcuno potrà trovarlo bizzarro, però per me è sicuramente più utile a spiegare quello che è la mia azione, sempre si possa rinchiudere in un termine. Quello che ho capito e che capisco ancora ogni giorno è che poco mi interessa la forma delle cose. Chi fa della realtà una forma metaforica e la trasmette all’altro ha tra le mani un grande tesoro, la capacità di comunicare. La mia personale visione della curatela non ha a che fare con le mostre, bensì con la creazione di narrazioni. Quella forma metaforica, che ben si presta per diventare veicolo di unione e condivisione, non è caratteristica solo dell’opera ma anche della narrazione che la accompagna. Questo non vuol dire che sia contraria alla mostra per come la conosciamo, ne ho fatte e continuerò a farne, ma la mia ricerca si esprime attraverso altri linguaggi. Chi oggi si esprime e fa della propria espressione un veicolo di comunicazione ha una grande responsabilità nei confronti del futuro che stiamo costruendo. “Costruire” è la seconda parola su cui vorrei soffermarmi, che come la prima, va a braccetto con un’altra: rivoluzione. Io sono convinta che la rivoluzione oggi si possa fare, ma non abbattendo a forza i vecchi sistemi, bensì costruendone di nuovi, sarà allora che il passato diventerà obsoleto e le persone saranno libere di avanzare. Te lo disegno con una metafora: Immagina di essere di fronte ad un vecchio edificio, un condominio molto alto e fatiscente. Per ogni piano un sacco di appartamenti, separati gli uni dagli altri, piccoli, sporchi, evidentemente da ristrutturare ma tutti abitati. Le persone ci vivono male, si lamentano, soffrono, stanno strette, ma si sono adattate. Tu vorresti urlare a tutti di andare via da li, perché non è adatto per abitarci, vorresti convincerli a lasciarlo. Una volta la rivoluzione si faceva distruggendo, si utilizzava la forza perché ci voleva, forse. Ma se invece di passare la vita a cercare di abbattere quel vecchio edificio con tutte le tue forze tu ti spostassi di qualche metro e utilizzassi le tue energie per costruirne uno nuovo? Lo costruirai per come secondo te vanno fatti gli edifici per farci stare bene le persone, con un’etica diversa e uno scopo, mattone dopo mattone. Vedrai che quando sarà finito saranno le persone a scendere dal primo per andare a vivere nel secondo, e solo a quel punto il vecchio diventerà obsoleto, perché ne avrai creato uno nuovo, rivoluzionando il sistema. Va da sé che un edificio non si costruisce da soli e si collega al discorso sulla condivisione e sulla generatività. Attraverso la curatela io creo la possibilità di immaginare sistemi nuovi e costruisco così uno dei tanti mattoni».
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hear the noise!
Raccontaci hear the noise!
«Ecco, hear the noise! è proprio l’esempio pratico di cosa intendo quando metto insieme i termini arte e rivoluzione. Nasce da una semplice ma approfondita riflessione sull’arte come strumento di comunicazione e trasformazione della realtà e dalla conseguente consapevolezza di quanto questa possibilità richieda una visione politica del nostro tempo e l’attivazione di un pensiero che sia critico. Respiriamo una dimensione globale sempre più critica e la viviamo sulla nostra pelle a livello locale. Penso sia ormai nostra responsabilità fare una scelta e prendere una posizione. Questo non mette in discussione la libertà e la spontaneità dell’operazione artistica, ma richiede una visione sicuramente politica. hear the noise! è un’esortazione a non ignorare, a non far diventare quel rumore di sottofondo un silenzio da tollerare, a non dare per scontato il sistema che conosciamo e le sue vicissitudini ma metterlo in discussione, sempre. Io lo intendo come progetto curatoriale perché rende azione un pensiero, propone un sistema nuovo ma soprattutto, per attuarlo crea un’ecologia di relazioni che si basano sullo scambio e la condivisione. È un programma di 4 weekend dedicato a chi lavora e si esprime in ambito artistico. Il primo giorno di formazione vede la presenza di una figura esterna, qualcuno che secondo me può, con la sua vita ed esperienza, farsi “caso studio” rispetto a quello che si intende quando si parla di avere una visione politica e applicarla alla propria pratica in modo consapevole. Penso che questa esperienza sia fondamentale per poter discutere fattivamente sul significato di arte e politica. (Con il termine “politica” non intendo il limitarsi ad operare su ambiti quali sociale, ecologico, civico, ma anche e soprattutto il farlo per contribuire fattivamente al miglioramento di una certa situazione e non per utilizzare quella certa situazione in quanto si presta bene all’operazione artistica. Penso non sia superfluo specificarlo). Chi sono le personalità che ho invitato? Andrea Pagnes (VestAndPage), Pietro Gaglianò, Leonardo Caffo, Stefano Boccalini. La prossima volta al femminile eh! Il secondo giorno di formazione si dedica invece a tematiche meno elevate, ma fondamentali per trasformare in pratica una visione e una volontà. È tenuto sempre da me e per darvi qualche esempio tratta argomenti come: progettare un portfolio, lo statement, la comunicazione in ambito artistico, progettare una mostra, trovare le residenze e scrivere un’application, ecc. Ho pensato di inserirlo perché per quanto una persona possa avere l’idea più profonda e significativa, avrà bisogno di buone competenze di questo tipo per poterla raccontare e farla diventare mostra, un progetto, una situazione».
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neo, formazione artisti e curatori
Avete un forte legame filosofico con RAVE, in particolare nel vostro progetto futuro: THE ARTIVIST che tocca la questione animale….
«Questo come avrai capito è un tema davvero importante per il mio presente. Dall’anno scorso alcune tematiche legate alla questione animale sono diventate centrali nella mia ricerca, affiancandosi allo studio e all’attivismo e penso che la mia pratica si stia finalmente allineando con un mio sentire profondo, che mette l’arte stessa in secondo piano rispetto a ciò che va a indagare. Queste tematiche, legate alla presa di coscienza di una società antropocentrica e specista, mi portano ad approfondire una critica sociale, etica e politica del nostro tempo, attraverso la curatela e il lavoro con artisti che come me condividono questa visione. Ed è proprio l’anno scorso che, intenta a scoprire se esistesse in Italia una dimensione che unisse questi due mondi insieme, ci siamo conosciuti, a R.A.V.E! Sono stata entusiasta di incontrare tanti artisti e curatori attenti al tema, riuniti grazie a due artiste speciali, Isabella e Tiziana Pers, in un luogo che contiene armoniosamente le istanze dell’arte e dell’attivismo. R.A.V.E (East Village Artist Residency) è infatti sia una residenza d’artista che un santuario in cui vivono liberi animali salvati dal macello. Tutto questo ha prodotto in me alcune questioni interessanti: Un’artista impegnato in tematiche politiche è un’attivista? Un’attivista che utilizza l’arte come strumento per le proprie battaglie può essere considerato un’artista? Ed ecco THE ARTIVIST. Un modo per confrontarmi con entrambe le dimensioni e scavare a fondo. È una serie di incontri aperti ad un pubblico più vasto possibile in cui ci saranno esposizioni e performance di artisti/attivisti seguite sempre da talk sugli argomenti trattati con degli ospiti e figure di riferimento sul tema. Alla fine verrà condiviso un buffet vegano cucinato da me e l’artista, insieme ad un djset elettronico minimale. Come vedi ha una forma che tenta di oltrepassare i principi per i quali alcune tematiche vengono vissute con molte barriere dalla società. L’esperienza dell’arte è una forma di comunicazione emotiva, mentre il sedersi e parlarne fa si che quelle sensazioni vissute vengano accompagnate su di un piano più razionale e quindi elaborate solo successivamente. Il mangiare insieme (“cum panis” ovvero “con pane” significa “compagni”) è già di per sé un modo per fare pace e stringere relazioni. Il primo incontro è il primo marzo, iniziamo con una performance di Alfredo Meschi. Ah, rispetto alle domande di prima su artisti e attivisti, non mi interessa davvero trovare delle risposte, penso che la loro utilità e quella più in generale delle domande, stia nell’attivare una sincera ricerca. È di questo che stiamo parlando».
Jack Fisher

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