04 luglio 2005

Abscondita à la française

 
Foucault da un lato, Derrida dall’altro. Manet da una parte, Artaud dall’altra. Un poligono a quattro lati che crea cortocircuiti interpretativi stimolanti, per due testi appena pubblicati dall’editore milanese Abscondita. Lo scandalo di un déjeuner sur l’herbe e di una vita scossa dalle “cure” a base di elettroshock. E due saggi audaci, arricchenti, provocatori…

di

La Peinture de Manet. Chi non ricorda le mirabili pagine che Michel Foucault (1926-1984) dedicò a Las Meninas di Velázquez? Aprivano un volume arcinoto, Le parole e le cose. Oppure le considerazioni su e oltre Magritte, Klee e Kandinskij in Questa non è una pipa? Questo per dire che l’interesse per la pittura non è affatto estraneo al suo lavoro, un discorso che del resto vale per tutta la “costellazione” post-strutturalista, dalla Logica della sensazione di Deleuze a Discorso, figura di Lyotard. La conferenza in oggetto risale al 1971 e la storia della sua pubblicazione è un’autentica avventura editoriale, giunta a compimento l’anno scorso grazie alle cure di Maryvonne Saison. Foucault vi sposa una lettura mediale, che accomuna per certi versi il suo scritto alle considerazioni che Bataille e Fried dedicano proprio a Manet. Ma nel suo caso permane anche (e soprattutto) un approccio formalista, proprio quello più aspramente criticato da Greenberg, sebbene sia contaminato da un’attenzione rivolta al ruolo dello spettatore. Attraverso l’analisi di una “dozzina di tele” del Maestro francese, Foucault individua nella sua pittura il punto di rottura di una tradizione che si perpetuava sin dal Rinascimento. Rottura che consiste nel mettere a nudo le condizioni della rappresentazione, nell’esibire la materialità del dipinto e quindi della tela, la sua flatness, il suo essere una porzione limitata dello spazio. E quale maniera migliore di evidenziare questi aspetti, se non sollecitando la posizione fisica dello spettatore? Non assegnandogli più una posizione definita, confondendolo affinché si palesi l’artificio, si scopra il trucco della mimesis. Manet inventa dunque “la pittura-oggetto […] condizione fondamentale affinché finalmente un giorno ci si liberi dalla rappresentazione e si lasci giocare lo spazio con le sue proprietà pure e semplici, le sue stesse proprietà materiali”.

Forcener le subjectile. Quanto detto sul legame fra arti visive e post-strutturalismo vale ovviamente anche nel caso di Jacques Derrida (1930-2004), curatore di una mostra al Louvre (Mémoires d’aveugles), autore di qualche saggio dedicato a Valerio Adami e di testi capitali come La verità in pittura. Ma qui il “soggetto” è Artaud, il “pazzo” Artaud, col quale Derrida ha intessuto un dialogo complesso sin dai primi anni della sua attività, con saggi come Il teatro della crudeltà e la chiusura della rappresentazione, Artaud: la parole soufflée e Artaud le Moma. Per dirla in poche e insufficienti parole, Derrida non condivideva il “vitalismo” artaudiano, il discorso sul “corpo proprio”. E forse indagare la sua produzione poetico-visiva, letteralmente pittografica, è un modo per scavare più a fondo in quel confronto, per battere sentieri meno battuti, per lasciarsi alle spalle tante presunte “riscoperte” che negli anni ‘6o e ‘70 appiattivano la parabola esistenziale di Artaud in una sacrosanta ma castrante battaglia antipsichiatrica. Il concetto del quale si serve Derrida per la sua lettura è sfuggente, liminare, utilizzato in poche occasioni da Artaud ma in qualche modo rivelatore della sua opera-vita: il soggettile. Ovvero ciò che sta sotto, che è subjectum, supporto a prima vista, nel caso del disegno per esempio, ma che in realtà è l’Altro, una “indecisa alterità” che non è mai (sé stessa). Sfugge, si sottrae, anche se la si fora, la si percuote, la si trasforma in orifizio sanguinante. Sempre elusiva, proprio per ciò articola l’espressione -termine che a Derrida non sarebbe piaciuto- al pari di una cornice, di un parergon che, nella sua presunta accessorialità, è una condizione dal sapore tracendentale, proprio e soprattutto in virtù della sua paradossale materialità. Una piccola notazione editoriale al riguardo delle riproduzioni, purtroppo in un bianco e nero, che invita anche all’acquisto del bel volume di Derrida e Thévenin, Artaud. Dessins et portraits (Gallimard, Paris 1986).

marco enrico giacomelli

articoli correlati
Festival d’Automne 2004. L’anno di Foucault
Derrida, in memoriam (1)
Derrida, in memoriam (2)
Manet a Rivoli
Artaud a Macerata


Michel Foucault – La pittura di Manet
A cura di Maryvonne Saison, con uno scritto di Carole Talon-Hugon, trad. it. di Simona Paolini
Abscondita (Miniature, 36), Milano, 2005
ISBN 88-8416-105-3
Pagg. 95, , ill. b/n, € 11
Jacques Derrida – Antonin Artaud. Forsennare il soggettile
A cura di Alfonso Cariolato
Abscondita (Carte d’artisti, 62), Milano, 2005
Pagg. 114+ill. b/n, € 17
ISBN 88-8416-082-0
Info: via Manin, 13 – 20121 Milano


[exibart]
 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui