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Casimiro Porro e cinquant’anni di mercato dell’arte
Libri ed editoria
Mi affascina sempre il mercato dell’arte, quello delle storie di capolavori ritrovati, della formazione delle grandi collezioni dove ogni quadro, scultura o oggetto che sia, ha alle spalle un acquisto rocambolesco, una trattativa serrata, comunque un aneddoto di vita che lo rendono unico e memorabile. Per non parlare del lavoro di ricerca e di attribuzione delle opere dei grandi maestri del passato, compiuto da straordinari e, nella stragrande maggioranza dei casi, ormai leggendari storici dell’arte del Novecento. Penso per esempio, al pool d’eccellenza della “scuola” di Roberto Longhi, da Carlo Volpe a Francesco Arcangeli, da Giuliano Briganti a Mina Gregori, novantaseienne ancora attivissima. Per questo ho letto avidamente e “tutto d’un fiato” come si usa dire, Per le strade dell’arte. Ricordi e riflessioni di un protagonista, tra mercato e istituzioni di Casimiro Porro con il contributo di Gianpietro Borghini, edito da Skira (192 pp., € 25,00), che consiglio vivamente per gli amanti del genere.
Casimirro Porro e il suo memoriale
Casimiro Porro cofondatore nel 1959, insieme a Gian Marco Manusardi, della nota casa d’aste Finarte, ne è stato presidente fino al 2001, ricoprendo più volte anche il vertice della sua associazione di categoria, l’ANCA (ovvero l’Associazione Nazionale Case d’Asta). Nel 2002 ha intrapreso una nuova avventura fondando e guidando la Porro & C., continuando così a operare attivamente nel mercato dell’arte.
Porro non è nuovo a tramandare le proprie riflessioni e ricordi, in interviste come in libri: penso a “Il mercato dell’arte” di Christian Herchenröder (Bompiani, 1980) e a “Una vita in asta” (Longanesi, 1999). Il nostro libro in questione rappresenta pertanto un’ennesima, ma inedita, tappa autobiografica, decisamente appassionante, con affreschi di tempi tanto vicini, che oggi ci sembrano tuttavia tanto lontani. Ho goduto nella lettura, per esempio, del ritratto che Porro dipinge della sua amicizia con lo straordinario artista Gianfranco Ferroni (che oggi meriterebbe una seria rivalutazione dagli addetti ai lavori, curatori in primis), dalle loro frequentazioni negli anni Cinquanta del bar Jamaica, il mitico esercizio milanese di via Brera ritrovo di intellettuali e artisti, ai primi concreti confronti “sempre vivaci” nel campo della pittura con il sottofondo musicale di Gerry Mulligan e Chet Baker. «Se fui preso in considerazione da Gian Marco Manusardi, mio futuro suocero, come l’uomo in grado di guidare la nascitura Finarte fu, soprattutto, grazie a Ferroni».
Finarte e gli incanti memorabili
Scorrendo l’apparato iconografico che correda il memoriale di Porro, salta subito agli occhi come la storia di Finarte sia stata segnata da alcuni incanti e mediazioni memorabili. Basti pensare alla vendita del dipinto di Francesco Guardi, l’Incendio di San Marcuola, alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, o alle carte da tarocchi di Bonifacio Bembo alla Pinacoteca Di Brera. Oppure, ancora, alla mediazione di Finarte nell’acquisto, nel 1990, da parte del Comune di Milano, dei fondamentali elementi mancanti del monumento funebre a Gaston de Foix, il capolavoro cinquecentesco di Agostino Busti detto il Bambaia, già allestito nel 1900 al Castello Sforzesco. Memorabile, quanto travagliata, poi, – come dà conto puntualmente Porro – è stata la mediazione per l’acquisizione della collezione Jucker dell’importo di 47 miliardi da parte del Comune di Milano, avvenuta nell’autunno del 1992, che consente oggi al capoluogo lombardo di possedere la più ricca raccolta di opere futuriste al mondo.
Gli aneddoti di vita e “commerciali” con collezionisti entrati nella storia si susseguono nel libro con un ritmo incalzante. Penso a quelli che riguardano il grande collezionista bolognese Oliviero Mazzoli, che è stato un industriale nel settore della plastica per componenti di automobili «dotato non tanto di una cultura pittorica sua propria, ma certamente di un formidabile e spontaneo intuito», come ricorda Porro prima di elencare una serie di acquisti eccellenti compiuti da Mazzoli per suo tramite: da un Bergognone oggi a Brera, a un Gaudenzio Ferrari oggi alla Galleria Sabauda di Torino, fino alla porzione di una predella d’altare di Giovanni Bellini.
Gustoso anche l’aneddoto che riguarda l’imprenditore modenese Bizzini, attivo nel settore della moda e produttore per Ferragamo, noto per un’accanita tendenza ad accaparrarsi il meglio. «Ricordo – scrive Porro – che in una bella mostra della Finarte comparve un mobile modenese del Settecento stimato 18 milioni: per mettersi al riparo da eventuali competitori, lui ne offrì all’apertura 120!».
Carlo Volpe, Federico Zeri, Giuliano Briganti
Porro ha intrattenuto in oltre mezzo secolo rapporti d’amicizia, prima ancora che professionali, con storici dell’arte del calibro di Carlo Volpe, Federico Zeri e Giuliano Briganti, tutti dotati di temperamenti molto diversi tra loro, eppure ciascuno, a suo modo, geniale e collegato a diverse “scoperte” che hanno contribuito al cursus honorum di Finarte.
Carlo Volpe, uno studioso indefesso, fu il vero scopritore del San Benedetto di Antonello da Messina, venduto alla Regione Lombardia e oggi alla Gallerie degli Uffizi di Firenze. Sempre a Volpe, Porro deve altri “colpi eccellenti”. «Gli anni Settanta volgevano al termine… Io e Volpe entriamo dunque da Colnaghi [celebre galleria antiquaria di Londra, n.d.a.], il quale fa estrarre per noi dal caveau due quadri italiani del Settecento di rara bellezza, dei quali tuttavia non era stato individuato l’autore. Subito, attiratone, tocco il gomito a Volpe che mi conferma con uno sguardo il suo eccitamento e mi sussurra circospetto: “Giaquinto! Corrado Giaquinto!”… Prima che calasse la sera, ritornammo da Colnaghi e mi accaparrai i quadri per ventimila sterline… le due opere di Giaquinto andarono successivamente ad arricchire le collezioni della National Gallery, dove si possono ammirare ancora oggi» ricorda Porro.
Il capitolo che il nostro autore dedica a Zeri si intitola “Federico Zeri o del genio”. La genialità è il primo tratto distintivo che evidenzia chiunque sia venuto in contatto con questo impareggiabile storico dell’arte. E Porro non è da meno, citando un paio di circostanze al riguardo davvero esemplari, a partire da quella dei bellissimi fondi oro della collezione Lutomirski di Milano. «Senza alcuna malizia mostrai la collezione a Zeri che si trovava di passaggio in Finarte: su due piedi, passando in rassegna le opere senza bisogno di ulteriori documentazioni e in meno di cinque minuti, aveva azzeccato tutte le attribuzioni… Tempo dopo, riuscì addirittura a darmi un’attribuzione corretta di un fondo oro del Quattrocento attraverso la mia descrizione fatta per telefono!», ci rivela Porro, non senza stupore che si rinnova a distanza di anni.
Tra le più felici e istantanee attribuzioni di Giuliano Briganti, il nostro autore ne ricorda una in particolare, avvenuta nel 1985. Quando lo storico dell’arte venne nella sede milanese di Finarte e, fra tutti i lotti di un’asta in corso di organizzazione, si soffermò davanti a un quadro appeso e, rivolgendosi a Porro: “Hai visto questo? Guarda che è Sebastiano del Piombo”.
Potrei continuare ben oltre questa recensione, spingendomi fino alle quattro interviste di Porro ai grandi amici-collezionisti Mario Scaglia, Guido Rossi, Giuseppe Iannaccone e Francesco Micheli. Ma preferisco lasciare un sano “cliffhanger” al nostro lettore. Ne vale la pena.
Bellissimo ricordo; 30 anni in Finarte e 10 alla Porro & C. E sempre con Casimiro Porro