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Gli sfolgoranti anni degli Young British Artists, nel nuovo libro di Luca Tommasi
Libri ed editoria
di redazione
Era l’estate del 1988 quando un gruppo di studenti del Goldsmiths College di Londra, insofferenti al panorama artistico britannico ingessato e autoreferenziale, prese in affitto un capannone nell’area portuale sul Tamigi per organizzare una mostra destinata a entrare nella storia: Freeze. 16 giovani artisti – tra cui un Damien Hirst allora sconosciuto al grande pubblico ma personalità emergente nella cerchia degli studenti d’arte – decisero di scardinare il sistema saltando le mediazioni istituzionali e curando da sé l’intero progetto espositivo. Il risultato fu una scossa tellurica nell’immobile scena culturale inglese, sotto l’egida conservatrice, per certi versi, ma spregiudicata per altri, dell’era Thatcher. Quell’evento inaugurò simbolicamente la parabola degli Young British Artists, destinata a ridefinire i confini dell’arte contemporanea nel Regno Unito e oltre.

A raccontare questa stagione folgorante, compresa tra il 1988 e la fine del nuovo millennio, è ora il volume Young British Artists. Artists da Freeze a Sensation 1988-1997, firmato da Luca Tommasi, gallerista con sede a Milano, e pubblicato da Silvana Editoriale. In un ritmato flash di 80 pagine, illustrate da 17 immagini, Tommasi condensa un decennio di fermento e di irriverenza, una fase di costruzione di un nuovo immaginario, in cui si consolidano le carriere di artisti oggi iconici come Tracey Emin, Chris Ofili, Rachel Whiteread, oltre allo stesso Hirst. In un momento in cui l’arte contemporanea torna a interrogarsi sui suoi modelli di produzione e legittimazione, Young British Artists di Luca Tommasi offre una lettura densa e accessibile di uno snodo cruciale del Novecento artistico.

Il libro si apre con una prefazione di Ian Davenport, uno dei protagonisti di quella generazione, che rievoca in prima persona gli anni formativi al Goldsmiths College — la fucina di quegli artisti — e l’atmosfera pionieristica e disordinata dei giorni di Freeze. Davenport descrive un ambiente sperimentale e interdisciplinare, in cui dipingere, scolpire, comporre musica o realizzare performance erano parte di un unico ecosistema creativo. Con uno sguardo intimo, ricorda l’iniziale indifferenza del pubblico, i turni di sorveglianza nel magazzino fatiscente, vicino a una fabbrica di antrace abbandonata, e quindi la lenta ma inarrestabile accensione dell’interesse critico, fino alla svolta rappresentata dalla trasmissione televisiva The Late Show. Fu un momento cruciale per quella nuova generazione di artisti «Pronta a correre rischi, infrangere le regole e spingere i confini contro lo status quo più conservatore del mondo dell’arte».

Ma nel 1988 la parabola degli Young British Artists doveva ancora trovare una sua definizione. Il termine venne coniato soltanto nel 1992 da Michael Corris in un articolo pubblicato sulla rivista Artforum, mentre l’acronimo YBA comparve per la prima volta nel 1996 sulle pagine di Arts Monthly. Come spesso capita, è a posteriori che si costruisce la cornice critica e semantica per identificare lo sviluppo spontaneo di un movimento artistico eterogeneo, unito più da un’attitudine radicale e da un senso di urgenza generazionale che da uno stile coerente.
Tommasi inquadra la vicenda degli YBA con uno sguardo insieme storico e critico, mettendo in luce la loro capacità di sfidare le convenzioni — basti pensare al letto sfatto di Emin o allo squalo in formaldeide di Hirst — e la complicità, talvolta scomoda e sempre attaccata dalla parte ostile della critica, con i meccanismi del mercato. Se Freeze fu l’atto fondativo, la consacrazione globale arrivò con Sensation (1997), la mostra che raccolse le opere della collezione di Charles Saatchi — magnate della pubblicità e mecenate — portandole prima alla Royal Academy di Londra, poi al Museum Hamburger Bahnhof di Berlino e infine al Brooklyn Museum di New York.

Il libro si chiude con un epilogo che rievoca un episodio tragico, divenuto una cupa metafora della fine della carica eversiva del movimento. Nel 2008, Angus Fairhurst, uno dei partecipanti a Freeze, si tolse la vita a soli 41 anni, impiccandosi a un albero in una remota zona della Scozia, proprio nel giorno in cui si chiudeva a Londra la sua personale alla galleria Sadie Coles. Si disse che alla base del gesto ci fosse la frustrazione per non aver raggiunto il livello di fama e di successo economico di altri YBA. In quel gesto estremo si condensavano tutte le contraddizioni dell’epopea: la pressione del mercato, il culto della celebrità, l’ossessione per il riconoscimento. Una fine drammatica quanto simbolica, come spesso accadeva nelle opere degli YBA, e che chiuse il cerchio su un periodo che aveva fatto dell’eccesso e della spettacolarità i propri tratti distintivi.