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In un tempo fagocitato dai media, l’arte può ancora salvarci?
Libri ed editoria
di Lara Gigante
Chi ha il controllo del tempo ha il potere. Non è solo una questione filosofica: è una realtà concreta, quotidiana, perché il tempo, oggi, non è più solo una risorsa preziosa, ma una merce. E come tale, dunque, viene acquistata, venduta, ottimizzata, segmentata. A gestire e coordinare tutto questo sono i media, in particolare le piattaforme digitali che, più che strumenti di comunicazione, sono diventate macchine temporali. Il saggio Cronofagia e media. La gestione e il consumo del tempo fra cinema, arti visive, TV e web, (Meltemi, 2024) curato da Vincenzo Estremo, Federico Giordano e Maria Teresa Soldani, raccoglie dieci analisi accademiche sull’argomento, esplorando come la nostra epoca sia segnata da una forma inedita e radicale di consumo: quella del tempo.
“Divorare il tempo”, il senso letterale della “cronofagia” è il concetto chiave attorno a cui ruota il volume. I tre autori, con approcci che spaziano dall’analisi dei media, alla filosofia e alla critica culturale, lo usano per descrivere una dinamica profonda e trasversale: la progressiva espropriazione dell’esperienza temporale da parte dei dispositivi tecnologici, che trasformano il tempo in qualcosa da riempire, monetizzare, gestire algoritmicamente.
«La cronofagia non è un effetto collaterale della digitalizzazione, ma il suo principio organizzativo profondo», scrivono gli autori. Lo spazio per la riflessione, per l’attesa, per la durata si riduce progressivamente, sostituito da flussi costanti di contenuti brevi, accattivanti, pensati per catturare secondi di attenzione. L’algoritmo diventa il nuovo orologio del presente, regolando ciò che vediamo e quando lo vediamo. Nel libro, i media vengono affrontati come architetture temporali, scandagliate in tutte le loro componenti strutturali. I social network, i servizi streaming, le app di messaggistica organizzano e scandiscono la nostra giornata ben più del calendario. Sono “fabbriche di tempo» in cui la soggettività si adatta a una temporalità modulata esternamente. L’esperienza viene così ridotta a «momenti di consumo» prevedibili e tracciabili. Il tempo libero viene anticipato dalla proposta algoritmica, il desiderio sostituito dal suggerimento automatico.
Inevitabile considerare il fenomeno anche con la sua ricaduta questione politica: chi può permettersi di uscire da questa logica? «Il tempo diventa disuguale. Non tutti hanno accesso al tempo della riflessione, dell’improduttività, del silenzio», sottolineano gli autori. A fronte di questa fagocitazione del tempo, l’arte può ancora rappresentare uno spazio di resistenza. È questo uno dei punti centrali del saggio, che dedica un’intera sezione a indagare come le pratiche artistiche contemporanee, dalle installazioni immersive alla video arte di lunga durata, possano produrre temporalità alternative.
Esempi emblematici sono le opere che chiedono tempo e attenzione: The Clock di Christian Marclay, un video-mosaico di 24 ore costruito con scene di orologi tratte dalla storia del cinema; i lunghi piani-sequenza del regista Béla Tarr; le performance “invisibili” di Tino Sehgal, che sfuggono alla documentazione e si affidano solo alla presenza del pubblico. «L’arte interrompe il tempo automatico, lo restituisce all’esperienza, all’imprevisto, alla durata». In un mondo che premia la velocità, queste opere richiedono lentezza. Chiedono di fermarsi, di abitare il tempo, di sottrarsi, anche solo per un momento, alla logica del flusso.
Affiancata a questa insorgono numerosi aspetti critici, che si inseriscono nel più ampio dibattito sociale, sull’iper-lavoro non retribuito degli utenti, il cui engagement genera profitto per le grandi aziende tecnologiche. Fenomeni che funzionano analogamente a “incantesimi”, legando gli utenti ai dispositivi digitali. Jean-Paul Galibert ci introduce, così, al concetto di envoûtement: «Chi controlla la mia immagine controlla il tempo che trascorro ad immaginarmi, ossia gran parte del tempo della mia vita».
Se la cronofagia è un fenomeno ineluttabile nella società contemporanea, il libro suggerisce che la consapevolezza di queste dinamiche sia il primo passo per ripensare il nostro rapporto con il tempo. Con rigore teorico e chiarezza espositiva, i contributi convogliati nel volume, gli scritti e la curatela di Estremo, Giordano e Soldani, ci invitano a ritrovare uno spazio di disconnessione e di fruizione consapevole dei media, come atto di resistenza culturale. In un’epoca in cui «l’obiettivo è rendere il tempo libero omologo al tempo occupato», la sfida diventa quella di riconquistare il diritto alla noia, alla lentezza e alla riflessione.
Uno strumento essenziale per chiunque voglia comprendere le implicazioni estetiche, politiche e sociali della gestione del tempo, invitandoci a ripensarlo come spazio da proteggere, non da consumare. E forse, proprio da qui può ripartire un nuovo modo di fare e vivere arte: non inseguendo, ma rallentando il tempo. Che sia fluido o frantumato, come quello postulato da H.Bergson, poco importa, ma che sia di nuovo nostro.