31 luglio 2009

libri_interviste I predatori dell’arte perduta (skira 2009)

 
Dai tombaroli ai mercanti d’arte, dai musei alle gallerie. Storie di ordinaria delinquenza (al nostro patrimonio) che il più delle volte rimane impunita. Fabio Isman rovista nel torbido con un’inchiesta sulla “grande razzia” dell’archeologia di casa nostra. E ammonisce: se il passato diventa testimonianza muta...

di

Fabio, perché un’inchiesta di questo genere?
Stavo seguendo il processo contro Giacomo Medici, uno dei dieci maxivenditori di antichità. È stato condannato in primo grado a 10 anni. Boss del mercato clandestino, ha procurato al Getty un sacco di capolavori. Beh, mi sono accorto che ero l’unico giornalista italiano a seguire le udienze, mentre era pieno di americani, tedeschi, francesi e giapponesi. Roba da matti. Allora ho deciso di approfondire la vicenda. E ho scoperto che c’era un sommerso da far spavento. Mi sono dedicato anima e corpo alla questione dell’arte rubata dagli anni ’70 a oggi, recuperando una quantità di materiale enorme.

Allora diamo i numeri: che giro di affari c’è?
Dal 1970 in poi è sparito almeno un milione di oggetti. Tutti scavati abusivamente. Nelle indagini sono coinvolte almeno 10mila persone, il pm di Roma Paolo Giorgio Ferri da solo ne ha inquisite 2500. Quando tutto questo è iniziato, il Paese era impreparato. Si facevano piccole inchieste che giravano per tribunali più o meno grandi. È stato Roberto Conforti, allora a capo dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico, a chiedere l’istituzione di un pool di inquirenti a Roma. E da allora di strada ne è stata fatta parecchia.

Fabio IsmanChi sono i predatori dell’arte perduta?
Partiamo dal basso. I paria, per modo di dire, sono i tombaroli, che scavano facendo il lavoro “sporco”. Si potrebbe pensare che sia gente da nulla, poveracci che sbarcano il lunario. Invece no. Prediamo Pietro Casasanta. Conosce la campagna romana alla perfezione e secondo i Carabinieri ha guadagnato miliardi. Altro che sfigato… Poi salendo la scala troviamo i piccoli mediatori di zona, che si riforniscono dai tombaroli e si rapportano con i trafficanti a un livello più alto. Questi, come l’ormai celebre Nino il Greco, non hanno accesso ai grandi musei. Ci arrivano i grandi commercianti internazionali, che sono sì e no una decina. Tutta gente che per decenni ha fatto il bello e il cattivo tempo.

Qual è la sciagura peggiore per questi reperti? Stare sepolti a marcire nella terra o essere tirati fuori da un tombarolo?
Stai scherzando? Un oggetto antico, per quanto prezioso, privato del suo contesto diventa muto. Non lo dico io ma gli archeologi: quando un reperto viene trovato, può restituire potenzialmente una miriade di informazioni. Su chi lo ha prodotto, quando, a cosa serviva eccetera. A patto che questi dati siano letti correttamente da chi sa farlo. Invece questa gentaglia strappa letteralmente i reperti dal grembo della terra fregandosene bellamente del contesto. Li condanna al silenzio eterno. È necessario che lo dica? Il danno alla cultura e al patrimonio è enorme. Ancora lui, Giacomo Medici, è stato condannato a risarcire 10 milioni di euro di provvisionale, ma i danni che ha causato al patrimonio dello Stato si calcolano in oltre 200 milioni. Del resto basta guardare, nel libro, le foto che ritraggono le pareti affrescate di una villa romana forse a Boscoreale. Vedi come sono ridotte? Fanno venire il magone.

Chi si compra oggi queste cose?
Per primi i grandi collezionisti. Ti faccio qualche nome. George Patiño Ortiz, il re dello stagno boliviano. Ha iniziato negli anni ‘60, si prende corredi interi. La sua è una collezione del tutto sconosciuta. Ha prestato pezzi per mostre a Londra, Berlino e San Pietroburgo, ma saranno stati un centinaio al massimo. Il suo caveau, a Ginevra, è immenso e praticamente inesplorato. Una tv greca è riuscita a intervistarlo lì dentro per cinque minuti ed è bastato a intuire i tesori incalcolabili che nasconde. Poi ci sono i fratelli Hunt, Nelson Bunker e William Herbert, i re dell’argento. Maurice Templesman, l’ultimo compagno di Jacqueline Kennedy, tra i più grandi commercianti di diamanti al mondo. Il duo Leon Levy & Shelby White: quando lui è morto, lei ha finanziato con 20 milioni di dollari la nuova ala del Met di New York per ospitare i reperti greco-romani della loro collezione. E infine le grandi gallerie americane come la Royal-Athena di New York di Jerome Eisenberg, che di tutti i reperti che ha acquistato ne avrà sì e no restituiti una decina.
Pietro Casasanta, il
Ma come fa questa gente a farla franca?

I trafficanti sono furbi. Per non comparire in prima persona usano le case d’asta, vendono gli oggetti sotto falso nome e li ricomprano con denaro sporco. Il solito Giacomo Medici lo faceva attraverso tre prestanomi. Risultato? Sotheby’s non batte più pezzi archeologi a Londra. Troppo rischioso.

Passiamo alle domande tecniche. Ti beccano a scavare abusivamente in un campo. Che ti succede?
Niente! Al più vengo arrestato, condannato al carcere per tre mesi e poi fuori. Ma quasi sempre la galera non la vedo neanche col binocolo. I mercanti lo stesso, perché sono furbi. Comprano i reperti e li classificano, poi li fanno sparire finché il reato non cade in prescrizione. Allora li tirano fuori. E ormai è troppo tardi.

E se ti prendono mentre vendi un reperto antico?
Rischio pochissimo. Al limite possono provare a incastrarmi per ricettazione. Il che è molto, molto difficile. Il nostro Paese quanto alla disciplina dei reati specifici diretti al patrimonio culturale è indietro di secoli. Pensa che in Francia esiste una norma che vieta l’utilizzo del metal detector senza specifica autorizzazione. Da noi al massimo scatta la denuncia a piede libero e il sequestro del metal detector. Siccome non costa praticamente nulla, quanto ci metto a ricomprarmelo?

Le pareti di affreschi della villa trovate nel deposito di Giacomo Medici GinevraE se compri un vaso?
Ah, è un reato da nulla, non si paga niente. Il rischio è ridicolo. Il giro di affari rende più della droga. Ma è molto, molto più sicuro. Quindi c’è la folla.

Raccontaci una vicenda in particolare che ti ha colpito.
Ho conosciuto questo taglialegna di Bolsena che, mentre alla luce del sole lavorava per le comunità locali, al sabato sera andava a scavare le necropoli etrusche. Le conosceva meglio delle sue tasche. Era un amante sfrenato dell’archeologia, la sua grande passione. Cercava i reperti, li restaurava, li classificava… Il suo giro era di 50-70 tombe per un migliaio di oggetti venduti all’anno. È andato avanti così per quarant’anni. Una volta nelle pause di un processo ho chiesto a un imputato, Robert Emanuel Hecth jr. detto Bob, quale oggetto antico bramerebbe ancora commerciare dopo tutti quelli che ha avuto per le mani. Questo signore è del 1919, è stato marinaio durante la Seconda guerra mondiale e si è laureato a Zurigo, diventando borsista in Italia. Bene, sai cosa mi ha risposto? Mi ha detto sorridendo: “L’elmo di Scipio, per restituirlo all’Italia”. Questo è uno che dice di aver venduto nella sua “carriera” una quindicina di reperti mentre al solo museo di Boston ne ha ceduti più di 1300.

Nessuno pagherà per la grande razzia?
Molto è stato fatto finora, anche a livello diplomatico. Ma il Getty, degli oltre 350 reperti che ha ne ha restituiti solo 50. Penalmente in questo Paese non paga mai nessuno. L’unica cosa da dire è che con leggi più serie qualcosa, fino a oggi, si sarebbe potuto fare. La nuova legge che limita le intercettazioni telefoniche è una sciagura nazionale. Non entro sul piano politico. Dico solo che gran parte degli interventi delle forze dell’ordine e dei magistrati sono avvenuti sulla base a quanto emerso dalle intercettazioni telefoniche.

a cura di elena percivaldi


Fabio Isman – I predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia
Skira, Milano 2009
Pagg. 224, € 19
ISBN 9788857202112
Info: la scheda dell’editore

[exibart]

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