10 dicembre 2004

libri_saggi Postproduction (postmediabooks 2004)

 
Che l’arte abbia dovuto fare i conti con la riproducibilità tecnica, è faccenda nota. E (più o meno) digerita. Come la mettiamo invece con i nuovi media? Dal direttore del Palais de Tokyo un libro piccolo, ma denso. A proposito di montaggi, smontaggi e remixaggi vari ed eventuali…

di

Gli ultimi vent’anni sono stati testimoni di una rivoluzione senza precedenti dei mezzi di produzione, d’archiviazione e di diffusione della cultura e dell’informazione: una rivoluzione che si è ripercossa sulla società, sul modo di vivere e di disegnare lo spazio urbano, sull’organizzazione del lavoro, persino sul modo di fare politica e di gestire la guerra.
Se si escludono rarissimi casi, la critica d’arte si è dimostrata sostanzialmente impermeabile a questa rivoluzione. In fatto di “media”, la critica d’arte odierna non va molto al di la di McLuhan e Lyotard, anch’essi orecchiati più che letti. In generale, sembra che i nuovi media, il loro linguaggio e la loro portata innovativa, debbano essere appannaggio solo dell’arte che ne fa uso, e della critica ad essa legata. E se si da per scontata la sostanziale indipendenza e incomunicabilità tra i due mondi – chiamati efficacemente da Manovich, in un saggio ormai vecchio di quasi dieci anni – la “terra di Duchamp” e la “Terra di Turing”, non si vede perché questo gap dovrebbe essere superato.
Detto questo, se pure l’introduzione, nel linguaggio della critica d’arte, di termini come “programmazione”, “postproduzione”, “sampling”, “hacking”, “download” o “interattività” fosse l’unico merito di Postproduction, recentemente pubblicato in versione italiana da Postmediabooks nella traduzione di Gianni Romano, basterebbe per farne un grande libro. In realtà, l’esile ma denso libricino di Nicolas Bourriaud, scritto nel 2002, va ben oltre questo fondamentale arricchimento lessicale. Innanzitutto, regalando a una cultura sempre affamata di nuove etichette una label efficace almeno quanto quella – che l’ha preceduta – di “estetica relazionale”, e, ci auguriamo, destinata a uguale fortuna. Un termine che gioca con ironia con le convenzioni di questo tipo di terminologia critica, senza per questo cadere nel loro stesso errore. Postproduction, infatti, suona certo come postmoderno, postfordismo o postimpressionismo: in realtà è un termine tecnico preso a prestito dal linguaggio audiovisivo, e usato per descrivere un’arte, quella degli ultimi vent’anni, che si serve, come materia prima, di materiale culturale preesistente, proveniente tanto dalle opere di altri artisti quanto dal mondo della comunicazione e dal sistema dei media; in cui la figura dell’artista si rimodella su quelle del deejay e del programmatore, e mutua dalla nuova cultura delle reti e dell’mp3 nuove modalità di produzione di senso. 
hughye
Postproduction
individua l’opera d’arte contemporanea come “un sito di navigazione”, un “generatore di attività”, la “terminazione temporanea di una rete di elementi interconnessi”, e la creazione contemporanea come uno sport collettivo, i cui strumenti sono la riappropriazione culturale, la pirateria, il riciclaggio, il détournement e il sampling, il montaggio e il doppiaggio; e le cui forme sono il mercato, la sceneggiatura e l’archivio.
Ma il pregio fondamentale di questo libro non è tanto di ordine contenutistico, bensì metodologico: e sta, precisamente, nell’aver evitato di parlare di artisti che lavorano specificatamente nell’ambito dei nuovi media, per concentrarsi su alcune star dell’arte contemporanea. Una scelta paradossalmente coraggiosa, perché preclude all’autore tutta una serie di esempi che avrebbero potuto illustrare al meglio le sue teorie: ma che gli consente di dimostrare, con una radicalità che vale il sacrificio, che l’avvento dei nuovi media non ha prodotto soltanto nuovi linguaggi e nuove forme d’arte, cui il sistema può permettersi di dedicare uno sguardo distratto; ma sta trasformando radicalmente le forme e i linguaggi di tutta l’arte contemporanea, da Jeff Koons a Maurizio Cattelan, da Douglas Gordon a Rirkrit Tiravanija, da Dominique Gonzalez-Foerster a Philippe Parreno. Fino a Marcel Duchamp, primo grande postproduttore contemporaneo. Obbligandoci a riconsiderare la legittimità, e il senso, di quella distrazione.

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domenico quaranta


Postproduction. Come l’arte riprogramma il mondo – di Nicolas Bourriaud
Postmediabooks, Milano 2004. Traduzione di Gianni Romano
96 pagine, 51 illustrazioni – ISBN 88-7490-016-3 – 14,50 euro
Info: www.postmediabooks.it/ – Email: books@postmediabooks.it  


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