02 novembre 2009

libri_temi L’invidia del pennello

 
Dalla prima “scrittura solare”, che ritraeva il cortile d’una casa di famiglia, al restauro di Punta della Dogana. La storia infinita del dialogo, non sempre civile, fra architettura e arti visive. Dai giochi di ruolo alle sinergie più proficue...

di

La questione della reciproca invidia fra artisti e
architetti è un tema assai dibattuto negli ultimi anni, ma le cui radici
affondano nei secoli scorsi. Nulla di nuovo sotto il sole? Non proprio, poiché
in quest’epoca certi dibattiti sono esacerbati dalla peculiarità “dromica” che
contraddistingue la nostra società. E quando le voci corrono in ogni parte del
globo, è più probabile che il battito d’ali d’una farfalla scateni un uragano.
Lo sa bene Michael Herrman, il cui
libro è eloquentemente sottotitolato The Architecture of Displacement and
Placelessness
, frutto del lavoro d’uno studioso americano di stanza
a Parigi e borsista all’American Academy di Roma.
Questo gioco di ruoli ha la sua origine moderna in quella
scuola per costruir case chiamata Staatliches Bauhaus. A Weimar la strana
coppia costituita da Walter Gropius (di cui è appena stato distribuito in libreria Apollo
nella democrazia
per i tipi di
Zandonai) e Lázló Moholy-Nagy progetta la collana dei Bauhausbücher e nel 1925, anno del
trasferimento a Dessau, esce l’ottavo dei quattordici volumi della serie: Malerei,
Fotografie, Film
. Ed è da qui che è partito il coraggioso progetto
di ristampa proposto dal Dipartimento di Storia delle arti, della musica e
dello spettacolo della Statale di Milano e dal Kunsthistorisches Institut di
Firenze. La formula è quella del “libro a fronte”, un cofanetto che comprende
il reprint anastatico e la traduzione italiana accompagnata da saggi critici.
Un ottimo modo per festeggiare il 90esimo compleanno del Bauhaus.
L’importanza della fotografia per l’architettura, e
viceversa, è analizzata da Giovanni Fanelli nella sua recente Storia della
fotografia di architettura
. Se la prima
“fotografia”, realizzata da Niépce nel 1826, aveva come soggetto
proprio “uno spazio architettonico”,
ovvero il cortile della casa di famiglia del protofotografo – e senza nulla
togliere alla funzione documentaria della fotografia stessa – come non
riconoscere un duchampiano “coefficiente d’arte” agli scatti di Carlo Mollino o alle
indagini dei coniugi Becher?
Joseph Nicéphore Niépce - Veduta da una finestra del cortile della casa familiare di Nicéphore Niépce a Saint-Loup-de-Varennes, presso Chalon-sur-Saône - 1826 o 1827 - eliografia - cm 16,5x19,7 - University of Texas, Austin
Un capitolo rilevante del rapporto arte-architettura
concerne gli edifici destinati, almeno in linea di principio, a ospitare l’arte
e i suoi derivati: i musei. Ogni archistar
degna di questo nome ne ha realizzati almeno un paio. E se talora la
funzionalità (progettare un contenitore per opere d’arte) è stata messa in
secondo piano rispetto al desiderio di dar vita a un’opera “autonoma”
(l’esempio princeps è il
Guggenheim di Bilbao disegnato da Gehry), vi sono almeno due
recenti casi italiani di sapiente dosaggio d’intenti, finalità e obiettivi: il
Museion di Bolzano e i suoi due ponti sul Talvera (opera del trio berlinese KSV raccontata da uno specchiante libro edito da Jovis)
e la pinaultiana Punta della Dogana a Venezia (dove s’è espresso a livelli
altissimi Tadao Ando, come
dimostra il libro di Francesco Dal Co, che analizza la sinergia fra
l’architetto giapponese e il milionario francese).
Stranieri in Italia ma pure italiani all’estero: il nostro Italo
Rota
ha esordito occupandosi nientemeno
che del Musée d’Orsay e del Pompidou. E mentre lavora, fra l’altro, al Museo
del Novecento di Milano, ha pubblicato un libro spumeggiante, dedicato ancora
una volta all’arte: niente progetti di musei, piuttosto un colto saggio critico
seguito da alcuni progetti non d’allestimento ma d’installazione. Uno per
tutti, The Entertainers. Il potere degli accessori, realizzato
nel 2001 per Pitti Immagine, con Carla Sozzani in veste di curatrice.
Il restauro di Punta della Dogana a opera di Tadao Ando - © Palazzo Grassi S.p.A - photo Andrea Jemolo
Non ci si stupirà dunque se il visiting professor del Corso
Superiore di Arti Visive della Fondazione Ratti, nell’anno 2008, era Yona
Friedman
, ideatore di un Museé dans la
rue
che lambiva il comasco Asilo Sant’Elia di Terragni. E quanto sia “artistica”, nella migliore accezione
del termine, la sua architettura lo dimostra L’architecture de survie,
saggio del 2003 che, grazie a Bollati Boringhieri, ora è disponibile anche in
italiano.
Nell’auspicato caso in cui questi flâneuristici spunti non
esauriscano la curiosità, ci si può abbeverare alla fonte, ossia alle Parole
dell’architettura
antologizzate da Marco
Biraghi e Giovanni Damiani, nonché alla Talking Architecture messa su pagina da Hanno Rauterberg. Così da
spaziare fra Superstudio e Rem Koolhaas, Norman Foster e Daniel Libeskind.

marco enrico giacomelli

*articolo pubblicato
su Exibart.onpaper n. 60. Te l’eri perso? Abbonati!



I volumi segnalati:

Marco Biraghi & Giovanni Damiani (a cura di), Le
parole dell’architettura, Einaudi, pp. 494, € 22, ISBN 9788806197346

Luca Cerizza & Anna Daneri (a cura di), Yona
Friedman, Charta, pp. 96, € 22, ISBN 9788881587056

Francesco Dal Co, Tadao Ando per François Pinault,
Electa, pp. 262, € 55, ISBN 9788837069452

Giovanni Fanelli, Storia della fotografia di
architettura, Laterza, pp. 458, €30, ISBN 9788842089155

Yona Friedman, L’architettura della sopravvivenza, Bollati
Boringhieri, pp. 166, € 16, ISBN 9788833920115

Walter Gropius, Apollo
nella democrazia, Zandonai, pp. 186, € 22,50
, ISBN 9788895538273
Michael Herrman, Hypercontextuality, CNR, pp. 358,
€40, ISBN 9788880800989

KSV – Krüger Schuberth Vandreike, Museion, Jovis, pp.
144, € 42, ISBN 9783939633617

Lázló Moholy-Nagy, Pittura, fotografia, film, Scalpendi,
pp. 256, € 39, ISBN 9788889546055

Hanno Rauterberg, Talking Architecture, Prestel, pp. 160,
$ 34,95, ISBN 9783791340135

Italo Rota, Welcome to Installation Exhibit, Electa, pp.
442, € 55, ISBN 9788837070243

[exibart]


1 commento

  1. Non sono convinto che il Museion, che pure è un bell’oggetto architettonico, sia perfettamente adeguato alle istanze dell’arte. In maniera particolare per la troppa ampiezza volumetrica delle stanze dei piani principali, in cui allestire mostre è molto complesso…

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