07 agosto 2020

Nicolas Bourriaud, il Radicale e radicante: un saggio di Stefano Castelli

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In Radicale e radicante, saggio recentemente edito da Postmedia Books, Stefano Castelli compie un excursus attraverso la teoria relazionale di Nicolas Bourriaud

Rirkrit Tiravanija, (who’s afraid of red, yellow, and green), Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, 2019. Installation view. Photograph by Shannon Finney. Courtesy of Hirshhorn Museum and Sculpture Garden

Stefano Castelli, critico d’arte, curatore indipendente e giornalista, fa il punto sull’excursus teorico di Nicolas Bourriaud. Nel suo saggio, Radicale e radicante, uscito fresco di stampa dalla Sartoria editoriale di Postmedia Books, Castelli invita il lettore a soffermarsi sui concetti chiave che hanno contraddistinto il pensiero di uno dei critici d’arte più importanti degli ultimi anni.

Partendo dalla disamina del concetto di “radicale”, l’autore dà forma a un’agile sintesi dei cinque testi elaborati dal curatore francese fino a oggi. Si parte da Esthétique relationnelle del 1988 – chiave di volta di tutta l’architettura teorica di Nicolas Bourriaud –, per giungere a L’exforma, pubblicato in spagnolo nel 2015. Forme di vita (1999), Postproduction (2002), Il Radicante (2009) costituiscono altrettante tappe teoriche di fondamentale importanza.

Il relazionale da non distorcere

L’arte, per Bourriaud – sottolinea Castelli in Radicale e radicante – è una dimensione assolutamente non separata dal mondo; infatti, il suo senso affiora nella stretta relazione che intrattiene col contesto storico-sociale, il quale va sottoposto continuamente ad una critica radicale. Pensare all’arte come esercizio di stile è una pura illusione. E qui – aggiungiamo noi – come antecedente storico, vengono in mente le posizioni oltranziste di Pier Paolo Pasolini, il suo radicalismo nei confronti della modernità, mutuata tra l’altro dalla conoscenza dei filosofi della Scuola di Francoforte e dal loro marxismo critico e fustigatore del processo disgregativo di una società dominata dal capitalismo.

Bronè Sofija Gideikaitè, The trip, 2013 -2015 Biennale di Kaunas, lituania 2015. Foto Remis Scerbauskas

Per Bourriaud, parimenti, il pensiero critico e la prassi curatoriale procedono insieme in maniera rigorosa; ciò che andrà rintracciato nelle forme e nel linguaggio artistico è la loro ricaduta etica. Il punto cardine è unire quest’ultima all’estetica partendo dall’esperienza sul campo. Nessuna metafisica, nessuna «essenza immutabile» può preesistere – sostiene l’autore di Esthétique relationnelle – poiché «l’attività artistica costituisce un gioco le cui forme, modalità e funzioni evolvono secondo le epoche e i contesti sociali». Per un nuovo approccio all’arte contemporanea, come si è visto, è indispensabile un esercizio di critica radicale.

Castelli, molto appropriatamente, mette in guardia da letture distorte e superficiali del termine “relazionale”, che per il curatore francese è da intendersi essenzialmente come assunzione dell’orizzonte teorico della sfera delle interazioni umane nel contesto sociale, colte specialmente nei minuscoli spazi dei gesti quotidiani, operando nel cuore dell’«infrasottigliezza sociale». L’opera, che può avvalersi di relazioni esterne al campo dell’arte (matrimoni, mercato artistico, mercato del lavoro) – e qui sta la sua specificità e novità secondo il critico francese – non mira a tutti i costi alla partecipazione del pubblico o all’interattività. Piuttosto, ha uno dei suoi precipitati nella produzione istantanea di microcomunità, di incontri conviviali, connessioni e ritrovi, collaborazioni e contratti, relazioni professionali, clientele.

Gabriel Orozco, Ping Pond Table (Mesa de ping-pong con estanque)
1998

Come è noto, Bourriaud analizza particolari opere che vanno da Rirkrit Tiravanija a Liam Gillick, da Vanessa Beecroft a Gabriel Orozco e a Daniel Buren, per citarne soltanto alcuni. Castelli rimarca a più riprese la peculiarità del metodo critico di Bourriaud riscontrando in esso una «mescolanza spregiudicata» generata da più fonti, che vanno dal marxismo, alla filosofia del Novecento, in particolare francese, con riferimenti a Félix Guattari e specialmente Louis Althusser.

Per una teoria aperta

Fondamentale nell’impianto critico dell’estetica relazionale, e quindi dell’esperienza curatoriale, è il concetto di «revisionabilità», in riferimento al lavoro critico sottoposto ad un continuo aggiornamento e riscrittura. Un atteggiamento, quest’ultimo, veramente prezioso se si pensa ai rischi che ogni teoria corre nel momento in cui viene messa al mondo. Una teoria aperta – potremmo definirla, in contrapposizione a quelle chiuse – il cui pregio sta innanzitutto nello stanare le proprie aporie per riprogettarsi e compiere un salto laterale per un balzo in avanti. Salto che per quanto riguarda l’artista – precisa Castelli citando Bourriaud – comporta anche l’indispensabile analisi critica del progresso tecnologico, di fronte al quale l’artista è portato a spostarne continuamente la posta in gioco. Si evince da tutto ciò che il sempre dibattuto problema della forma nell’opera contemporanea assume una valenza differente rispetto al passato, poiché si estende al di là della sua configurazione materiale, aprendosi a una “disponibilità” inusitata: vedi – tanto per fare un esempio tra molti – il caso di Felix Gonzalez-Torres e i suoi mucchi di caramelle.

Felix Gonzalez-Torres, Untitled (Portrait of Ross in L.A.), 1991

Come si sa, nel corso degli anni, le obiezioni alla teoria del curatore francese non sono mancate.  Castelli riporta succintamente quelle di Claire Bishop, Grant Kester, Stewart Martin e Hal Foster. Dunque, si tratta di praticare nuove Forme di vita, come recita il titolo del saggio uscito nel 1999, in cui Bourriaud esorta l’artista a mettersi in gioco, a farsi «primo e primario ponte tra arte e vita» criticando inesorabilmente il mondo e le sue strutture, gli effetti nefasti e alienanti del lavoro nella «miseria degli impieghi quotidiani». Bisogna riprogrammare il mondo attraverso un lavoro di mixaggio tra cultura alta e popolare, bene evidenziato in Postproduction del 2002: un dètournement continuo – di matrice situazionista – in cui l’opera nasce all’interno della rete dei segni e significati esistenti, anche nel mondo della grafica, della pubblicità, packaging, videoclip, cinema, che rischiano frequentemente di essere complici del sistema. Insomma è necessario farsi semionauti e rimescolare le carte per sabotare lo strapotere del sistema di mercato.

La svolta del Radicante

Ma la vera svolta nel percorso teorico del critico e curatore francese, precisa Castelli, avviene con Il radicante pubblicato nel 2009, tradotto in Italia nel 2014. Con questo saggio, Bourriaud si apre più consapevolmente alla dimensione construens del pensiero. Avvalendosi della similitudine botanica dei vegetali senza radici fisse (che ricorda, anche se con significato differente, il rizoma di Gilles Deleuze e Félix Guattari) disegna il profilo dell’artista e dell’arte che si spinge in un superamento del postmodernismo e del concetto di post-storia e del mimetismo critico di matrice pop, operando una «disobbedienza civile» che Bourriaud porta criticamente avanti spingendosi oltre l’arte stessa per un affondo implacabile all’epoca presente.

Insomma, è indispensabile reagire attivando una fase costruttiva guardando in faccia le “macerie” umane, oggettuali, ambientali, ideologiche; ed è ciò che emerge – sottolinea Stefano Castelli – chiaramente dall’ultimo libro L’Exforma: un elogio della marginalità come paradigma dell’arte di oggi. Attraverso anche la “ripulitura” del pensiero di Althusser, Bourriaud si proietta verso un nuovo “progetto realista” arrivando a una graduale accettazione dell’eredità neomarxista.

Stefano Castelli, Radicale e radicante. Sul pensiero di Nicolas Bourriaud, Postmedia Books, Sartoria Editoriale 2020, 70 pp. 28 ill., euro 12

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