09 luglio 2019

READING ROOM

 
Arte, tempo e tradizione: il libro di Marco Bagnoli
di Francesca Pasini

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Un libro d’artista? Un libro su un’artista? Un catalogo generale? Una biografia? Un’autobiografia? Un archivio visivo? La risposta è sì a tutte le domande. Le fotografie delle opere si alternano, s’inanellano, si ripetono mettendo letteralmente in pagina il nodo concettuale, visivo, emotivo del lavoro di Marco Bagnoli
Scorre in tutto il libro la scritta “SPAZIO X TEMPO”, attraversata da una banda rossa che separa, unisce, tiene in equilibrio, dilata questa frase che, tagliata, diventa “IO X TE”. Oltre alla reciprocità del tempo e dello spazio appare la relazione individuale che ognuno prova e che ogni opera d’arte rende visibile e circoscrive. Bagnoli ha messo al centro della sua ricerca la tradizione esoterica-spirituale, alternativa al razionalismo illuminista. 
Da una pagina all’altra la luce cambia, la forma sposta il proprio baricentro, il mistero di ogni immagine prende corpo.  È il caso della mongolfiera di raggi cromati che sembra sempre sul punto di volare o di planare, ma anche di assorbire lo spazio in cui si trova, come in “invisibile agli occhi solo per la voce essere riconosciuta”, 2000, Valencia, IVAM. È una figura che attraversa tutto il volume, lo cadenza, indica spazi fisici e spirituali. Nella riproduzione del video Albe of Zonsopgamgen, (Amsterdam 1984) appare il volo e l’atterraggio di un pallone aerostatico rosso, è un precedente “narrativo”, di questa scultura aerea, che va e viene nelle sue mostre, disegni, dipinti tenendo aperta la domanda.
 “Lo spazio dell’arte – scrive Bagnoli – è l’unica tradizione che ci rimane (intendo tradizione che non sta in un passato o in un tempo storico da riconfigurare, ma sul filo dell’essere presenti a noi stessi). Anche il Rinascimento a Firenze ha un‘accezione ermetica è il suo valore, non certo l’estetica neoclassica. È la rinascita del passato che configura l’archetipo del dio apollo (l’influenza spirituale) che fa volgere lo sguardo nordico verso il santuario di Delfi (il sé). … Non ci rimane che voltarci indietro, verso l’origine che è sempre costantemente dinanzi a noi.”
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Marco Bagnoli
Così Bagnoli intenzionalmente dispone le sue opere e le loro reciproche origini.
Janua  Coeli, si riflette tra le pagine: è uno specchio parabolico, dalla forma di una grande ciotola a volte di alluminio, a volte di rame, cattura la figura che le sta di fronte, rovesciandola, fino al punto in cui  il fuoco degli occhi di chi guarda e quello dello specchio coincidono, in quel momento la figura scompare e appare il riflettere originario. Anche Janua Coeli spartisce spesso il suo spazio con una banda rossa. 
I “Sette Dormienti” si modificano tra le esposizioni. Il ciclo nasce nel 1990 come affresco nello studio dell’artista, in Toscana, ogni figura viene poi strappata e riproposta. 
Così scrivevo, nel libro che accompagnava la mostra alla Galleria Pieroni di Roma (1990). 
La presenza dei Sette Dormienti è documentata a Efeso, durante la persecuzione cristiana dell’Imperatore Decio (249-251 d.C.), quando sette giovani si fecero murare vivi in una caverna per difendere la fede. La leggenda narra che si sarebbero svegliati due secoli dopo al tempo di Teodosio II (408-450 d.C.) e che con loro ci sarebbe stato anche un cane. Questo miracoloso sonno migra nel Corano, nella “Sura della Caverna”, resa nota da Louis Massignon all’inizio del ‘900. 
“Colpimmo di silenzio le loro orecchie nella Caverna, per lunghi anni, e poi li svegliammo per sapere chi meglio sapesse contare il tempo ch’eran rimasti lì. Erano giovanetti che credevano nel loro Signore. … E li avresti creduti svegli mentre invece dormivano… Se fossi capitato d’improvviso e li avessi visti, ti saresti volto subito in fuga pieno d’arcano spavento. Li svegliammo perché si interrogassero a vicenda. … Uno di loro disse: Un giorno restammo, o parte di un giorno. Mandate a cercare con queste monete chi abbia il cibo più puro. Erano tre, e quattro col cane. Altri, cinque erano, e sei col cane. Altri ancora, sette, e otto col cane. Quale che fosse il loro numero non lo conoscono che pochi. Rimasero nella caverna trecento anni, ai quali ne aggiunsero nove.”
Dal sonno emergono uomini che hanno attraversato il tempo e un cane, simbolo per alcuni del femminile, per altri del maestro, o della natura. L’enigma del tempo si esprime nell’indecisione di quanti erano. C’è un richiamo “all’esperienza che lasciando affluire espressioni non puramente razionali, produce un salto creativo, non solo nell’arte, ma in tutte le situazioni in cui il completamento supera i limiti dell’io attraverso un’esperienza di tipo estatico” (Fachinelli, La mente estatica, 1989).  Come avviene nel racconto coranico e nella tensione di Bagnoli a riconoscere nei suoi Sette Dormienti un salto creativo tra immagini orali, graphè e parole disegnate. 
La porosità rosa, sabbia, gialla, verde, azzurrata, evoca l’elasticità della pelle dell’affresco che, liberato dal muro, si concreta nel salto con cui Bagnoli lo espone e modifica.  I piccoli riccioli danno forma ai volti, mentre occhi, bocca, naso, sigillati dal sonno diventano linee di una misteriosa grafia. 
L’arte ci rende dormienti e veglianti. Una dimensione che ritrovo nella cronologia del libro, dove Bagnoli, inserendo descrizioni e commenti, allude all’origine “sempre dinanzi” o ad aspetti dormienti delle sue stesse immagini. Un completamento inevitabile per un libro che, nelle sue opere, racchiude la sua vita? È probabile.
Francesca Pasini

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