12 aprile 2013

READING ROOM Giuseppe e Giovanna Panza collezionisti. Conversazione con Philippe Ungar

 
Giuseppe e Giovanna Panza collezionisti. Conversazione con Philippe Ungar
di Ivan Fassio
La storia della collezione è analizzata a partire dai tentativi di comprendere l'Arte Astratta, Minimalista, Concettuale. Per delineare un'avventura filosofica e una dedizione esplorativa

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Giuseppe e Giovanna Panza di Biumo sono stati collezionisti illuminati e anticipatori nel riconoscere peculiarità e caratteristiche radicali delle opere acquisite. Instancabili e sentimentalmente coinvolti da sviluppi e finalità della loro opera di collezione, hanno incarnato l’ideale dell’avventura intellettuale di scoperta dei contenuti inediti dell’avanguardia. 
Silvana Editoriale ha ora pubblicato un’interessante intervista realizzata alla coppia da Philippe Ungar. Sviluppate nei tre anni precedenti la morte di Giuseppe, le conversazioni insieme al filosofo e storico dell’arte francese, si snodano per blocchi tematici, tenendo in considerazione anche il percorso cronologico delle operazioni di acquisizione, prestito e donazione ad importanti musei ed istituzioni artistiche internazionali.
 Appartamento di Milano, 1971, Giuseppe e Giovanna Panza, alle pareti opere di Franz Kline, Gian Sinigaglia – Archivio Panza / Giorgio Colombo, Milano – Courtesy Silvana Editoriale
Prendendo le mosse da una concezione della vista che ha saputo trascendere l’estetica dello sguardo, l’intervista ricostruisce i momenti dell’origine di una vocazione. L’osservazione viene intesa, in questo senso, come dedizione esplorativa, come formula dell’”abitare”: capacità di entrare nelle strutture complesse dell’opera per comprendere il funzionamento di meccanismi a-temporali. 
La storia della formazione della raccolta è analizzata a partire da originali concezioni di comprensione della pratica artistica. Giovanna Panza considera il monocromo come una modalità di avvicinamento all’assoluto: traccia materializzata di infinito e, al tempo stesso, apertura all’immateriale e al silenzio. Arte di privazione per eccellenza e, insieme, operazione contraddittoria per chi crede nell’accumulo di oggetti, la monocromìa poteva rispondere all’esigenza di spiritualità in un mondo regolato dalle dinamiche economiche e da politiche di potere. 
Se l’inizio del percorso poteva coincidere con l’acquisto di Composizione in marrone e grigio di Antoni Tàpies nel 1957 su suggerimento di Pierre Restany, la collezione subiva una prima svolta già con l’acquisizione di Franz Kline. Riflettendo sulle caratteristiche dei due autori e confrontandoli, i collezionisti avevano compreso che determinati cromatismi potevano entrare in risonanza con una concezione della pratica estetica emozionale e ancora embrionale, ma già ben definita nelle intenzioni. Opere di Mark Rothko, Ives Klein, Ettore Spalletti e Doug Wheeler rispondevano, con modalità profondamente diverse, alla stessa necessità di purezza, al bisogno di semplificazione astratta di urgenze ideologiche e contemporanee.
FAI - Villa Panza, Varese, 2007, Giuseppe Panza. Joseph Kosuth, The Tenth Investigation, preposition 4, 1974 – courtesy Silvana Editoriale

Il minimalismo, inteso come guida emotiva, creava, dopo un’iniziale fascinazione sensibile, le coordinate per la comprensione di meccanismi percettivi. Larry Bell, nel 1967, era in grado di imprigionare la luce in un cubo di vetro. Semplice realizzazione giocata tra materia e rarefazione, tra comprensione di un fenomeno tecnico-scientifico e illusione, l’opera faceva leva sull’esplicitazione di una domanda, su una elementare richiesta di svelamento e definizione. Negli stessi anni, le opere di Robert Ryman palesavano a Giuseppe Panza che un artista era tutt’uno con il proprio tratto. Da allora, il collezionista aveva iniziato a visitare le mostre, utilizzando una lente d’ingrandimento per comprendere la concentrazione dell’autore all’interno di un personale dettato poetico. Robert Irwin, legato all’arte ambientale di Los Angeles, lasciava intendere che la nostra percezione della realtà fosse sempre sfasata. Dopo una prima sensazione di fronte alle sue opere, concedendo a se stessi il tempo per la riflessione, si poteva capire che l’operazione nascondeva un doppio fondo, un trucco. Proprio come per la parete (Varese Scrim) del corridoio della collezione privata della Villa di Varese, realizzata dall’artista con un velario in tergal. A prima vista pare la continuzione del muro del corridoio, ma, camminando lentamente, ancora oggi ci si accorge che dietro c’è un altro spazio, misteriosamente nascosto agli sguardi distratti…
GIUSEPPE E GIOVANNA PANZA COLLEZIONISTI
conversazione con Philippe Ungar
Editore: Silvana Editoriale
Anno pubblicazione:2012
Pagine:216
ISBN:9788836624553
Prezzo:18,00 Euro

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