19 aprile 2022

Scritture di Corpi Minori: intervista a Jonathan Bazzi

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Metafore di marginalità e senso della lotta, in "Corpi Minori": Jonathan Bazzi ci parla del suo ultimo romanzo e della sua ricerca tra narrazione e realtà

A Jonathan Bazzi, autore di “Corpi Minori” (Mondadori, febbraio 2022), interessa raccontare «La realtà ulteriore che talvolta ammanta quella che vedono tutti». Non ci sta a fare finta di niente o ad accomodarsi sui lustrini che camuffano le identità. Soprattutto quelle provenienti dai luoghi di periferia – come la sua Rozzano – in cui è più facile imbattersi nei segni della fragilità umana e nelle voci che si perdono dietro agli angoli dimenticati. Jonathan Bazzi dice e fa, è aderente alla sua essenza ogni volta che sposta lo sguardo: un’identità manifesta e non apparente, autentica, decisa nel procedere verso quel centro che ricerca di continuo. L’amore, se stesso, se stesso nell’amore. Come il protagonista del suo ultimo romanzo in cui la crisi vissuta fra i venti e i trent’anni si trasforma in atto decisivo: un’apertura al sentimento che per la prima volta non si sottomette al compromesso, bensì lo supera. Un romanzo di formazione che porta – se lo si vuole veramente – a riconoscere le cose così come stanno: che in noi convivono più mondi e uno di questo è spesso scomodo e terribilmente scorretto; che «Ogni attrazione è gerarchica» e «Non esiste alcun centro al di fuori di quello che ci siamo inventati». L’ho intervistato il 12 aprile 2022, mentre si trovava a Saluzzo e aveva da poco incontrato i detenuti dell’Istituto penitenziario del luogo, grazie al progetto “Adotta uno scrittore” del Salone del Libro.

Hai appena avuto un incontro con i detenuti del carcere di Saluzzo, un luogo che è metafora di marginalità, ma anche “di centro”, perché è il posto da dove tutto può ripartire. Che emozioni hai provato?

«È il secondo anno che partecipo a un’iniziativa così impattante. L’anno scorso è stata la prima volta e inizialmente ero un po’ pensieroso. Avevo dei pregiudizi, ma devo dire che poi si è rivelata un’esperienza emozionante. Sai, trattandosi di un carcere maschile, mi sarei dovuto confrontare con i miei spettri, con una parte del mio vissuto. Buona parte delle persone che avevo intorno, quando vivevo a Rozzano, avevano avuto esperienza di vita carceraria o comunque facevano “dentro e fuori”. Persone che hanno segnato emotivamente la mia infanzia e l’adolescenza. Entrare in carcere con dei libri in cui si raccontano certi temi, come quelli da me indagati, pone davanti a delle difficoltà. Ho provato una grande emozione, perché sono entrato in contatto con la vita di chi ha vissuto in certi ambienti e ha continuato a rimettere in atto una subcultura in cui è cresciuto. Confrontarsi con i detenuti aiuta a mettere in discussione le distinzioni presunte fra bene e male, buoni e cattivi. Ci si rende conto che tutto è più labile, più contingente, meno assoluto».

Nel romanzo “Corpi Minori”, attraverso le azioni del protagonista, c’è il senso della lotta: quando uno arriva dai margini è pronto a tutto. Il lettore viene a contatto con la potenziale parte oscura che è in ognuno di noi.

«Nel mio primo romanzo “Febbre”, il protagonista subiva le cose dal contesto familiare, territoriale, dalla periferia. Aveva un atteggiamento passivo. In Febbre il principale elemento di attività era il gesto narrativo e comunicativo stesso di mettere in parola certe esperienze per appropriarsene. Il protagonista era però passivo. In Corpi Minori mi interessava invece raccontare un periodo della vita diverso, quello dai venti ai trenta. Quello in cui mettiamo in atto le prime manovre per diventare noi stessi e prenderci nel mondo e dal mondo le cose che pensiamo ci spettino. In questo tipo di movimento, che è quello del desiderio, non è detto che i comportamenti siano però tutti edificanti. Infatti metto in scena un personaggio ambiguo, discutibile, controverso, fastidioso, scorretto, che fa scelte sulla spinta del desiderio».

Una narrazione del desiderio, dunque, che svela come l’uomo, in realtà, possa compiere gesti poco edificanti.

«Esatto. E spetta proprio alla letteratura e ai linguaggi creativi, come l’arte, conservare un rapporto con la verità e con le parti più scomode dell’esistenza, soprattutto di quel mondo da cui arrivano persone poste ai margini, storicamente osteggiate e represse, come le LGBTQI. In politica, invece, nei progetti e per il raggiungimento degli obiettivi, si continua a battere sugli stessi tasti, con un’uniformità e un’unilateralità di prospettiva. In politica non è utile ed economico guardarsi attorno, contraddirsi, mettere in evidenza le parti fastidiose. Ecco quindi l’importanza di dire attraverso la letteratura».

Una riflessione che si collega a quanto da te vissuto a Rozzano e che racconti anche nell’articolo apparso sul quotidiano Domani il 4 aprile 2022, in cui dici che chi governa i luoghi di periferia tende a minimizzare e a irrigidirsi di fronte ai resoconti mediatici di come stanno le cose. Ma com’è che stanno davvero le cose?

«Quello che si fatica a vedere, soprattutto per i quartieri a più alta fragilità, è lo stato effettivo di ciò che ci circonda. In quei posti c’è un rapporto mancato con la verità che vede anche una sinistra e inquietante alleanza tra chi amministra e chi ci abita, per motivi diversi. Chi amministra non dice spesso le cose come stanno e reagisce irrigidendosi nei confronti delle descrizioni e delle testimonianze. Ammettere le cose così come stanno, vorrebbe dire occuparsene, modificarle, e non è detto che ci sia la possibilità di modificarle davvero. Ma anche chi ci vive spesso rifiuta di riconoscere la verità, per una questione di autostima, di fastidio nel sentirsi associati a dei luoghi collocati alla base della piramide sociale. Questo fa sì che spesso le cose rimangano invariate. Se non ci si apre alla possibilità di uno sguardo diverso, le cose tendenzialmente restano come sono. Purtroppo io ho sperimentato e sperimento ancora questo. Chiaramente non con tutti, ci sono persone che hanno letto i miei libri e che li hanno apprezzati, anche fra gli abitanti di Rozzano».

Ma qual è la scelta più forte che compie il protagonista di “Corpi Minori”?

«Si racchiude in due movimenti opposti sul tema dell’amore: nella prima parte del romanzo, il sogno romantico viene subordinato al sogno di arrivare in città, di fatto il protagonista vive una relazione di comodo e di opportunismo. Nella seconda e terza parte, invece, c’è l’incontro con l’amore vero e proprio che, sulle prime, sembra portare il personaggio a una sorta di instabilità affettiva. La crisi che vive ha questo significato: con l’arrivo di ciò che gli sembra essere l’amore con la A maiuscola, comincia un corpo a corpo con se stesso e, per la prima volta, vuole restare, rimanere e non volatilizzarsi. L’amore che inizialmente viene sacrificato nella prima relazione diventa nella seconda un’occasione per capire chi è lui. C’è il passaggio dall’uno all’essere due. Un passaggio che ha a che fare con la relazione ma anche con la propria interiorità. Il libro può esser visto come un romanzo di formazione attraverso l’esperienza dell’amore».

 

Si nota anche il tuo particolare legame con l’arte, rappresentato dalle copertine di Elisa Seitzinger in “Febbre” e di MP5 in “Corpi Minori”.

«Ho avuto la fortuna di poter scegliere le copertine dei miei libri, le ritengo una parte in continuità con il testo, importante e non estrapolabile, non separabile da quello che ho scritto. Io ho frequentato il liceo artistico, poi l’Accademia di Brera, il mio rapporto con la forma, con le cosiddette apparenze, è un rapporto costante. Quelle che vengono definite apparenze poi non sono tali, ma correlato visibile di ciò che non si vede, portatrici di significati. Il rapporto con le forme, con l’arte e con le arti visive è fondamentale. Mi piace creare dei sodalizi attraverso i miei libri, affiliarmi ad artisti, illustratori, illustratrici. La cover di Corpi Minori arriva dopo tanta ricerca. È un’immagine che tiene insieme il concetto dei corpi a livello anatomico, ma anche quello dei corpi intesi come “corpi celesti”. Il lavoro di MP5 è nato prima su tela, solo dopo è diventato murales. L’artista ha lavorato a lungo per trovare una composizione perfetta. È un’opera corale e questo è per me molto importante. Il libro infatti ha un protagonista che contempla anche le storie delle persone che incontra, corpi minori che arrivano a Milano da un altrove. La cover rispecchia anche questa importante coralità».

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