12 dicembre 2020

Deaccessioning: l’opinione di Bart van der Heide

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La vendita delle collezioni museali, opportunità o minaccia? Lo abbiamo chiesto al direttore di Museion

deaccessioning. Bart van der Heide, direttore di Museion. Foto: Luca Guadagnini
Bart van der Heide, direttore di Museion. Foto: Luca Guadagnini

Deaccessioning, la vendita delle collezioni museali che continua a far discutere l’America (e non solo). Nell’articolo pubblicato sul n.110 di exibart.onpaper (potete recuperarlo qui) vi avevamo lasciati con una domanda: «Come potrebbe essere accolto il deaccessioning in Italia, la culla della cultura, la patria di quei nomi che hanno fatto grande la Storia dell’arte? Sarebbe inteso come un’opportunità per rafforzare l’economia, sul modello americano? Oppure più come una minaccia, con il rischio di disperdere le tanto celebrate collezioni del Bel Paese?». Prosegue la nostra serie di interviste a direttori museali e ad altre voci autorevoli del mondo dell’arte, per scoprire da vicino un fenomeno decisamente controverso. 

Intervista a Bart van der Heide, direttore di Museion – museo d’arte moderna e contemporanea di Bolzano

E voi, Museion, come vedreste il deaccessioning? Come un’opportunità per risollevare l’economia e ridare linfa al vostro museo, specialmente in questo momento difficile? O più come una minaccia, con il rischio di disperdere le collezioni?
Su questo tema le mie opinioni sono più o meno in linea con il codice etico dell’ICOM; il deaccessioning dovrebbe essere consentito, ma non è assolutamente motivato dal valore monetario degli oggetti. Personalmente, non ho mai considerato il deaccessioning come una priorità: dall’esperienza ho imparato che alcuni oggetti conservati nell’angolo più oscuro della collezione magari per sessant’anni possono poi tornare ad essere rilevanti per la ricerca contemporanea. Questi esempi confermano per me che logica delle collezioni dei musei pubblici deve essere orientata al lungo termine e non si dovrebbe caricare della responsabilità di soluzioni a breve termine».

I musei americani, spesso, hanno optato per la vendita di grandi nomi (Brice Marden, Mark Rothko e Robert Rauschenberg, solo per citarne alcuni). E voi, ci avete mai pensato? Quali opere sottoporreste al deaccessioning? Con quale logica?
«Mi piace sempre ascoltare Glenn D. Lowry quando parla del modello di business del MoMA. Mi sembra incredibilmente stimolante e diretto. Genera molte risorse ed energie su cui il museo può contare per investire in nuovi formati  sperimentali, come l’attuale piattaforma educativa del MoMA. Ma allo stesso tempo rimane estraneo a chi, come me, ha sempre lavorato nel settore pubblico. Per me, una delle principali pecche del modello di gestione americano dei musei è che i fondi acquisiti non vengano mai reinvestiti nell’organizzazione operativa; i programmi devono sempre essere più grandi e migliori per attirare nuovi investimenti. La domanda è sempre: chi ne beneficia?».

Se non proprio al deaccessioning, avete mai considerato la cessione a terzi dell’uso di qualche bene del museo? Potrebbe trattarsi di una soluzione proficua, anche a livello finanziario? Penso ad esempio alle opere nei magazzini, che non trovano spazio nelle sale espositive e potrebbero essere valorizzate altrove…
«Nessun museo è in grado di mostrare ogni pezzo della sua collezione, il che è un peccato. Allo Stedelijk Museum di Amsterdam avevamo esplorato la possibilità di mostrare una parte della collezione sul territorio, facilitandone l’accesso. Questo significava, per i prestiti, allentare gli standard istituzionali di conservazione, trasporto e assicurazione per alcune opere della collezione. Al momento, nella maggior parte dei musei pubblici, il protocollo per il prestito di un Matisse è uguale a quello che si adotterebbe per il prestito di un’opera di livello diverso. Questa decisione ha alzato la soglia per i musei regionali, che naturalmente non sono in grado di rispondere a richieste standardizzate. Ma, naturalmente, un tale esempio segue una percezione del profitto che non è guidata da logiche commerciali».

Un’ultima domanda sugli scenari futuri, in questo presente di continui stravolgimenti. Esistono alternative efficaci al deaccessioning per garantire la salute del settore museale?
«La salute del settore museale dipende dal modo in cui la società – che comprende sia il settore pubblico che quello privato – definisce e valorizza il ruolo del patrimonio culturale. Per me, questo determina il livello di responsabilità civica e di gestione dei musei stessi. So da che parte sto in questo dibattito. Anche se, nel caso ce ne fosse bisogno, sarei il primo a mettere in atto un “deaccessioning” delle organizzazioni gerarchiche spesso immobili dei musei pubblici!».

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