05 dicembre 2020

Deaccessioning: l’opinione di Lorenzo Balbi

di

La vendita delle collezioni museali, opportunità o minaccia? Lo abbiamo chiesto al direttore del MAMbo

deaccessioning
Lorenzo Balbi, Responsabile Area Arte Moderna e Contemporanea Istituzione Bologna Musei e Direttore artistico MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna. Foto di Claudio Cazzara

Deaccessioning, la vendita delle collezioni museali che continua a far discutere l’America (e non solo). Nell’articolo pubblicato sul n.110 di exibart.onpaper (potete recuperarlo qui) vi avevamo lasciati con una domanda: «Come potrebbe essere accolto il deaccessioning in Italia, la culla della cultura, la patria di quei nomi che hanno fatto grande la Storia dell’arte? Sarebbe inteso come un’opportunità per rafforzare l’economia, sul modello americano? Oppure più come una minaccia, con il rischio di disperdere le tanto celebrate collezioni del Bel Paese?». Ed eccoci a inaugurare una serie di interviste a direttori museali e ad altre voci autorevoli del mondo dell’arte, per scoprire da vicino un fenomeno decisamente controverso.

Intervista a Lorenzo Balbi, direttore artistico del MAMbo – Museo d’arte moderna di Bologna

E voi, al MAMbo, come vedreste il deaccessioning? Come un’opportunità per risollevare l’economia e ridare linfa al vostro museo, specialmente in questo momento difficile? O più come una minaccia, con il rischio di disperdere le collezioni?
«Entrambe le cose. Un uso indiscriminato e sregolato del deaccessioning potrebbe portare a un depauperamento e a una irrimediabile dispersione delle collezioni dei musei, mentre un uso consapevole e coscienzioso potrebbe rappresentare una importante opportunità per rimettere in moto le istituzioni in questo difficile momento storico e magari rivitalizzare collezioni da troppo tempo ferme per mancanza di fondi di acquisizione. Come sappiamo in Italia vige il criterio dell’inalienabilità del patrimonio museale, quindi questo è un discorso del tutto ipotetico. Credo che il tema possa e debba essere affrontato ma che non possa prescindere da una preliminare riflessione sulla struttura stessa delle istituzioni che dovrebbero essere precedentemente dotate di comitati scientifici di livello indiscusso costituiti ad hoc, di rigidi codici etici, di precise linee d’azione negli statuti e soprattutto di un sistema che certifichi con certezza che i fondi vengano re-investiti in opere o progetti importanti o vitali per l’esistenza del museo».

I musei americani, spesso, hanno optato per la vendita di grandi nomi (Brice Marden, Mark Rothko e Robert Rauschenberg, solo per citarne alcuni). E voi, ci avete mai pensato? Quali opere sottoporreste al deaccessioning? Con quale logica?
«I patrimoni dei musei pubblici, soprattutto quelli attivi da più tempo, sono spesso frutto di stratificazioni derivanti da acquisizioni, donazioni, lasciti, passaggi e molte altre modalità di ingresso delle opere, pertanto includono inevitabilmente lavori che non sempre sono coerenti con un corpus “centrale” delle collezioni, con le sue linee di sviluppo, di indagine e di incremento, avulsi dalla storia espositiva dei musei e dei territori che rappresentano. Una logica possibile potrebbe dunque essere partire da tali opere per riflettere su un possibile deaccessioning».

Se non proprio il deaccessioning, avete mai considerato la cessione a terzi dell’uso di qualche bene del museo? Potrebbe trattarsi di una soluzione proficua, anche a livello finanziario? Penso ad esempio alle opere nei magazzini, che non trovano spazio nelle sale espositive e potrebbero essere valorizzate altrove…
«Non credo che “affittare” le opere, prestandole solo di fronte a importanti “fee”, sia un modo di agire eticamente corretto da parte dei musei. Se un corrispettivo si può chiedere di fronte alla concessione di un prestito, credo sia giusto chiederlo per favorire operazioni di restauro, di valorizzazione, di tutela, ecc. e che sia giusto poter concedere prestiti di opere per progetti scientificamente all’altezza, soprattutto ad altri enti pubblici. Non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando di opere pubbliche, di patrimonio collettivo che noi abbiamo temporaneamente l’incarico di preservare, mostrare, valorizzare. Trovo ancora più imbarazzante che queste fee vengano talvolta richieste tra musei pubblici dello stesso stato che dovrebbero invece agire come network coeso e collaborativo. Con le opere conservate nei depositi si possono pensare strategie diverse: dalla rotazione delle collezioni alla visita agli spazi degli storage, da pubblicazioni a fruizioni on-line. Sono invece favorevole alla concessione a terzi degli spazi del museo (sala conferenze, foyer, altri spazi interni ed esterni) per organizzazione di eventi, presentazioni, incontri, conferenze, se conformi nelle modalità e nei contenuti alla struttura museale, per incrementare le entrate ma anche per “contaminare” gli spazi con altri pubblici o con persone che difficilmente sarebbero altrimenti venute in quei luoghi».

Un’ultima domanda sugli scenari futuri, in questo presente di continui stravolgimenti. Esistono alternative efficaci al deaccessioning per garantire la salute del settore museale? 
«Credo che più che pensare a vendere o a noleggiare le opere delle collezioni dei musei si dovrebbe fare un ragionamento sulla possibile messa a frutto delle competenze interne dei musei. Curatori, conservatori, educatori, registrar, mediatori, svolgono un ruolo di eccellenza ed esclusività professionale che i musei potrebbero e dovrebbero sfruttare per iniziative e progetti anche esterni commissionati da terzi. Un patrimonio immateriale che, adeguatamente coordinato, potrebbe accrescere possibilità e prestigio delle istituzioni. Esempi in questa direzione potrebbero essere mostre curate da dipartimenti curatoriali dei musei in sedi esterne, percorsi didattici concepiti dai dipartimenti educativi per occasioni particolari o consulenze specifiche richieste ad hoc in procedimenti complessi».

 

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