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fino al 4.VI.2003 Short Cut Milano, Galleria Vittorio Emanuele II
milano bis
In tutti i momenti, a tutte le ore. Basta passare nel salotto buono di Milano ed ecco l’installazione degli scandinavi Elmgreen e Dragset. Una roulotte come ce ne sono milioni ha sbagliato strada. E’ sbucata in Galleria. E riaccende il dibattito culturale in città…
di Luca Scalco
Nell’arte contemporanea la provocazione è sempre stata una delle caratteristiche predominanti e fondamentali: dalle storiche avanguardie novecentesche sino ai nostri giorni lo sfregio, il voler stupire, la sfida hanno rappresentato molto spesso, l’essenza stessa dell’arte. Tutto può e deve divenire arte e, viceversa, l’arte deve abbracciare ogni tipo di materiale ed ogni oggetto. Dai Dada sino alla Pop Art, una delle parole d’ordine delle poetiche figurative è stata proprio la massificazione dell’opera e persino la sua mistificazione.
L’installazione Short Cut, opera di Michael Elmgreen e Ingar Dragset, presentata dalla Fondazione Trussardi e sistemata nell’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele riprende esattamente il complesso concetto arte e provocazione: infatti, nel bel mezzo del salotto buono di Milano, emergono letteralmente dal terreno una macchina ed una roulotte. Sono i simboli, secondo i due artisti scandinavi, dell’evasione e della vacanza intesa soprattutto come crescita intellettuale e culturale. Sicuramente l’effetto complessivo è davvero stridente e, onestamente, di non facile digestione: inserire nella struttura eclettica di Giuseppe Mengoni – simbolo da una lato del revival neo classico di fine Ottocento e dall’altro della nuova architettura in ferro che stava invadendo l’Europa positivista, – una installazione “estrema”, è davvero una operazione audace e coraggiosa. E’ naturalmente del tutto scontato osservare che immediatamente sono scoppiate feroci polemiche,non solo estetiche ma soprattutto sulla conservazione della preziosa pavimentazione della Galleria. E’ comunque da sottolineare che dietro al progetto esposto sono stati effettuati numerosi sopralluoghi e attente prove volte ad evitare qualsiasi danno all’edifico ed a rendere l’installazione eccezionalmente sorprendente: l’effetto è esattamente quello della emersione dal pavimento della Galleria (ricreato con un paziente e eccezionale lavoro fotografico) di questi due veicoli, simboli impazziti di un mondo follemente massificato.
E’ davvero un’opera da vedere attentamente, senza pregiudizi di sorta, che forse farà sorridere o indignare, ma che sicuramente non lascerà indifferenti e, tutto sommato ciò è, fondamentalmente, uno degli scopi dell’arte contemporanea in generale e della Fondazione Trussardi in generale. Con questa operazione, infatti, l’istituzione diretta da Massimiliano Gioni inzia ad intraprendere un rapporto borderline con la città di Milano. Un amore odio.
luca scalco
OTTAGONO, Galleria Vittorio Emanuele, info 02.80.68.82.1 press@fondazionenicolatrussardi.com , a cura di Michael Elmgreen & Ingar Dragset
[exibart]
audace e coraggiosa.. io diri banale e pubblicitaria… ecco perchè l’arte è sempre più inutile… la pubblicità sa fare di meglio…
E la chiamano opera d’arte?
E’ una merda pazzesca!!!!!
MA come si fa?
certa gente dovrebbe vergognarsi
Concordo con i commenti precedenti, se questa è arte allora i nuovi spazi espositivi potrebbero diventare gli sfasciacarrozze. La fondazione Trussardi e Gioni forse non hano più idee per credere in certi progetti.
una specie di Catellan di serie B, come il cucciolo Gioni e chi se lo beve…
ammetto di aver mandato il messaggio precedente senza prima leggere la recensione, altrimenti a Luca Scalco una parola la avrei detta…rimedio ora…COMPLIMENTI!!!Farai carriera sicuramente se continuerai a scrivere con tanta piaggeria…un nuovo Alessandro Riva…
a me piace molto
anzi la trovo fantastica