Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
13
ottobre 2008
fino al 18.X.2008 Ryan McGinnes Milano, Curti/Gambuzzi & Co.
milano
A Milano un protagonista del mondo artistico internazionale. McGinnes invita lo spettatore a entrare nel suo immaginario multi-culturale e racconta sogni e paure dell’Occidente. Il basso continuo è però “a shadow feeling of loss”...
È un mondo claustrofobico quello che viene rappresentato da Ryan McGinnes (Virginia Beach, 1972; vive a New York). È una realtà dominata da quell’aristotelico senso di horror vacui che coinvolge la sfera visuale ma non si limita a essa, rendendo partecipi altri sensi. Come se le tele emettessero suoni, parlassero a chi le guarda e raccontassero storie metropolitane di vite intrecciate a simboli atavici, legate a suggestioni culturali spesso mischiate a superstizioni e retaggi dell’educazione occidentale.
E poi il tatto: vien voglia di toccare queste realizzazioni, di trattare ognuna delle tantissime immagini proposte come “pezzi” di collage che si possono prendere e spostare, guidati dalla propria fantasia. Nelle poche porzioni di spazio nelle quali il bianco riesce a balzare all’occhio, pesa come il nero, o forse di più, acquistando la consistenza della materia o della sua assenza.
Sembra di immaginarlo l’artista mentre, davanti al bianco di una tela vergine, programma la disposizione degli elementi che la riempiranno, ma allo stesso tempo si fa guidare da un’energia che può essere solo orientata ma non dominata. Così la sua mano sembra guidata da una forza interiore che, nata dallo “stomaco”, viene filtrata dalla mente e si manifesta attraverso gli occhi e, infine, prende forme riconoscibili sul supporto.

Come la sua mente, la tela si offre in un primo tempo “vuota”, ma con lo scorrere del tempo, e della vita, entrambe si riempiono di stimoli, di suggestioni sempre nuove, di parole, suoni, oggetti, idee, pensieri che a volte vengono filtrati e altre volte sembrano prendere vita propria e manifestarsi in modo autonomo in una sorta di scrittura automatica, per definirla con le parole del surrealismo.
Tutto ciò che McGinnes ha conosciuto nel suo percorso educativo diventa ispirazione nelle opere: dalla suggestione della cultura classica di Virgilio (Omnia vincit amor) alla street culture e alle filosofie orientali, tutto entra a far parte di un mondo metropolitano, così finemente e intellettualmente newyorkese. Visi, oggetti, simboli, forme, alberi, fiori, ricami, linee, insetti, simboli mistici, pois e giochi per bambini, letture, mostre, vita notturna: niente rimane fuori da un immaginario che si può trovare così incisivo e variegato solo nella “città che non dorme mai”.

Le grandi dimensioni rendono ancora più forte l’impatto dei lavori. Sembra di perdersi nel labirinto di stimoli e conoscenza rappresentato in ogni singola tela per ritrovarsi, solo alla fine del proprio percorso personale, nel riconoscimento di simboli riconoscibili in quanto parte fondante della realtà giornaliera e del background ormai “globalizzato” di ognuno. Lo stesso supporto prende forme simboliche, opera d’arte nell’opera d’arte, come quella del cerchio. Il contenitore diventa contenuto, il mezzo assume lo spessore del soggetto.
Tutto ciò in un continuo dialogo tra tempo e spazio, tra vuoto e pieno, tra presenza e assenza, che rende ancora una volta ammirabile il lavoro dell’americano.
E poi il tatto: vien voglia di toccare queste realizzazioni, di trattare ognuna delle tantissime immagini proposte come “pezzi” di collage che si possono prendere e spostare, guidati dalla propria fantasia. Nelle poche porzioni di spazio nelle quali il bianco riesce a balzare all’occhio, pesa come il nero, o forse di più, acquistando la consistenza della materia o della sua assenza.
Sembra di immaginarlo l’artista mentre, davanti al bianco di una tela vergine, programma la disposizione degli elementi che la riempiranno, ma allo stesso tempo si fa guidare da un’energia che può essere solo orientata ma non dominata. Così la sua mano sembra guidata da una forza interiore che, nata dallo “stomaco”, viene filtrata dalla mente e si manifesta attraverso gli occhi e, infine, prende forme riconoscibili sul supporto.

Come la sua mente, la tela si offre in un primo tempo “vuota”, ma con lo scorrere del tempo, e della vita, entrambe si riempiono di stimoli, di suggestioni sempre nuove, di parole, suoni, oggetti, idee, pensieri che a volte vengono filtrati e altre volte sembrano prendere vita propria e manifestarsi in modo autonomo in una sorta di scrittura automatica, per definirla con le parole del surrealismo.
Tutto ciò che McGinnes ha conosciuto nel suo percorso educativo diventa ispirazione nelle opere: dalla suggestione della cultura classica di Virgilio (Omnia vincit amor) alla street culture e alle filosofie orientali, tutto entra a far parte di un mondo metropolitano, così finemente e intellettualmente newyorkese. Visi, oggetti, simboli, forme, alberi, fiori, ricami, linee, insetti, simboli mistici, pois e giochi per bambini, letture, mostre, vita notturna: niente rimane fuori da un immaginario che si può trovare così incisivo e variegato solo nella “città che non dorme mai”.

Le grandi dimensioni rendono ancora più forte l’impatto dei lavori. Sembra di perdersi nel labirinto di stimoli e conoscenza rappresentato in ogni singola tela per ritrovarsi, solo alla fine del proprio percorso personale, nel riconoscimento di simboli riconoscibili in quanto parte fondante della realtà giornaliera e del background ormai “globalizzato” di ognuno. Lo stesso supporto prende forme simboliche, opera d’arte nell’opera d’arte, come quella del cerchio. Il contenitore diventa contenuto, il mezzo assume lo spessore del soggetto.
Tutto ciò in un continuo dialogo tra tempo e spazio, tra vuoto e pieno, tra presenza e assenza, che rende ancora una volta ammirabile il lavoro dell’americano.
articoli correlati
McGinnes alla Triennale
alice cammisuli
mostra visitata il 20 settembre 2008
dal 19 settembre al 18 ottobre 2008
Ryan McGinnes – A shadow feeling of loss
Galleria Paolo Curti / Annamaria Gambuzzi & Co.
Via Pontaccio, 19 (zona Brera) – 20121 Milano
Orario: da lunedì a venerdì ore 11-19; sabato su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel. +39 0286998170; fax +39 0272094052; info@paolocurti.com; www.paolocurti.com
[exibart]
e’ noioso mc ginness