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Dopo 37 anni alla guida di Vogue US, Anna Wintour lascia il ruolo di editor-in-chief della testata che ha contribuito a trasformare nel simbolo più autorevole nel mondo moda. L’annuncio è arrivato il 26 giugno 2025, durante una riunione interna alla redazione: la Wintour però non scomparirà dalla scena ma continuerà a ricoprire i ruoli di Chief Content Officer di Condé Nast e Global Editorial Director di Vogue, supervisionando le edizioni internazionali e la strategia editoriale del magazine più riconosciuto del settore.
Una transizione strategica, più che un addio. «Oggi la mia più grande gioia è aiutare la prossima generazione di editor a raccontare il mondo attraverso nuove idee, nuovi occhi», ha dichiarato in una nota. Il titolo di editor-in-chief di Vogue America non sarà rimpiazzato: la nuova figura – head of editorial content – risponderà direttamente a lei.
Figura ormai conosciuta anche dal grande pubblico grazie al film Il diavolo veste Prada, rivediamo alcune tappe del percorso di Anna Wintour.
Dagli inizi londinesi al mito di Vogue
Nata a Londra, il 3 novembre 1949, figlia del giornalista Charles Wintour, Anna respira fin da giovane l’aria delle redazioni. Dopo una breve esperienza alla Harper’s & Queen negli anni ’70, si trasferisce a New York, dove lavora per Harper’s Bazaar e Viva. Il suo primo vero colpo arriva nel 1985, quando viene nominata editor-in-chief di British Vogue: una ventata di rigore estetico e modernità scuote il tradizionalismo della stampa britannica.
Nel 1988 arriva la chiamata decisiva: Alex Liberman, allora direttore editoriale di Condé Nast, la sceglie per rilanciare Vogue America, in una fase critica della testata. Il suo primo numero, con Michaela Bercu in jeans e giacca Christian Lacroix sulla cover, è già un manifesto: glamour sì, ma con i piedi ben piantati nel presente. La moda non è più solo per le élite, è cultura popolare. Da allora, Vogue diventa l’epicentro di un nuovo sistema culturale che intreccia moda, spettacolo, politica, arte, attivismo.
Wintour impone una linea editoriale precisa, sceglie con cura le modelle (e poi le celebrities) per le copertine, lanciando nuovi talenti, da John Galliano a Marc Jacobs passando per i grandi fotografi come Mario Testino, tanto per citarne solo alcuni. Nel 1995 è tra le prime a comprendere il potere dell’entertainment legato alla moda, rilanciando il Met Gala come l’evento più atteso dell’anno, un red carpet che oggi vale milioni in visibilità e raccolta fondi.
Il documentario The September Issue (2009) ne consacra l’immagine pubblica: glaciale, determinata, intransigente. Ma anche profondamente legata al proprio team creativo. La sua figura entra presto nell’immaginario collettivo, ispirando il personaggio di Miranda Priestly in Il diavolo veste Prada (2006), interpretato da Meryl Streep. Dietro la caricatura, si nasconde però la realtà di una donna che ha saputo mantenere l’equilibrio tra autorità e innovazione, tradizione e futuro.
Negli anni 2010 e 2020, guida Condé Nast in una difficile transizione digitale, gestisce tagli e riorganizzazioni e assume nuovi ruoli: dal 2020 diventa Chief Content Officer dell’intero gruppo. È a capo delle strategie editoriali globali, influenzando non solo Vogue, ma anche Vanity Fair, GQ, Wired, The New Yorker.
L’eredità e il futuro di una vera icona
Wintour non ha mai lasciato che la moda fosse solo un gioco estetico ma, pur nell’ottica di un magazine commerciale, ha promosso messaggi sul cambiamento climatico, il femminismo, la diversity, portando in copertina Michelle Obama, Kamala Harris, Serena Williams, Beyoncé, Rihanna, e – non ultimo – atleti, attivisti, artisti contemporanei. La moda come piattaforma politica e culturale: questa è la sua visione. Un filosofia che aveva in comune con Franca Sozzani, che aveva reso Vogue Italia tanto influente quanto quello americano, consacrando le due direttrici come le figure più influenti del fashion system.
Con il passaggio di testimone del 2025, Anna Wintour si defila da un ruolo operativo quotidiano ma resta al cuore pulsante della macchina globale di Condé Nast. Il nome di chi prenderà le redini operative di Vogue US non è stato ancora rivelato ma sarà una figura che risponderà direttamente a lei. Il titolo di editor-in-chief sembra destinato a scomparire, sostituito da una struttura più fluida, forse più adatta ai tempi. Ma una cosa è certa: l’era di Anna Wintour non si conclude bensì, semplicemente, evolve.