10 gennaio 2007

fashion Metodo Rinascente

 
Exibart incontra Tiziana Cardini, fashion director del gruppo Rinascente. Il suo compito? Selezionare i nuovi brand per il progetto di riorganizzazione totale della più importante catena di grandi magazzini italiani...

di

Dopo alterne vicende il gruppo Rinascente è tornato in mano ad una cordata di imprenditori guidata dalla famiglia Borletti, gli originari proprietari. Era quella Rinascente dove trovarono casa giovani e impareggiabili progettisti come Munari, Sambonet, Bellini, Iliprandi… Quella Rinascente aveva perso lo smalto di un tempo, ed in particolare, lo storico negozio milanese di piazza Duomo, era diventato meta di turisti svogliati o di nostalgici consumatori locali.
Ad operare un sano ‘total make over’ sono stati chiamati due italiani, il manager Vittorio Radice, autore della rinascita di Selfridges, e Tiziana Cardini la cui professione sfugge alla classificazioni più consuete.
Vittorio Radice ha pensato ad un team di architetti che ridisegneranno le sedi già esistenti o progetteranno nuove architetture. Per la storica sede di Milano gli architetti coinvolti sono Aldo Cibic per il sottoportico e le vetrine, India Madhavi per il mezzanino e il primo piano, senza dimenticare il gruppo inglese HMKMVan Duysen infine Lifschutz Davidson Sandilands/Ford McDonald. A Padova lavorerà Ferruccio Laviani, a Cagliari Dordoni e a Palermo Albanese.
Su tutti i negozi la sfida del fashion director, la scelta dei brand. Tiziana Cardini ha fascino pre-raffaelita ma speed contemporaneo. Ci riceve nella sua casa, specchio della sua personalità, un’armonia di moda, design, architettura, piante e tante luci. Il nostro timido tentativo di svelare l’inedito, ci porta a chiederle di raccontare da dove è partita e quale sia stato il suo percorso.

Quali studi hai compiuto?
Liceo classico e architettura, per unire arte e matematica. Mi piaceva il greco per la bellezza dei caratteri e il rigore bislacco della costruzione dei periodi. La disciplina è sempre stata importante, naturale. Ho amore per la struttura e l’ordine, sono una delle forme del bello. Capacità inspiegabile di selezionare intuitivamente. Ma sono un’anarchica organizzata e il caos ha un centro matematico. Se conosci le regole infrangerle è più facile.
Tiziana Cardini, photo Monica Vinella
La messa a punto di questi strumenti, di questi filtri interpretativi da dove viene? La fai risalire ad un momento particolare della tua vita, ad un incontro con una personalità?
No. Gli strumenti di cui parli arrivano obliquamente da più parti, natura ed educazione. Dalla famiglia viene il rigore etico/estetico e la consuetudine al bello. Gli studi hanno nutrito il desiderio di creatività disciplinata. Ho incontrato e lavorato con persone interessanti, spesso personalità ingombranti. Il lavoro nei giornali di moda è arrivato per caso. La moda per me è un linguaggio facile. Ma al di là dei percorsi operativi, il concetto che guida consciamente o inconsciamente le mie scelte è lo stile. Lo stile del corpo, del pensiero, dell’attitudine; è un concetto infusivo-effusivo. Lo stile definisce la postura dell’anima e dell’identità.

Oggi le discipline di cui parli vivono quasi in simbiosi. All’inizio del tuo percorso considerare le adiacenze tra design, architettura, moda, arte e media non era così scontato.
Le adesioni estetiche sono un vapore, si muovono per correnti intuitive. La disciplina di cui ti parlavo è stata ed è tuttora un filtro. Come in un acquario, mi muovo nella libertà di una rete invisibile, è come l’antenna di un radar sottomarino. Intorno a noi c’è come un plancton setacciato, uno sciame fosforico, una galassia da leggere. Io faccio questo tenendo conto di parametri che sono la cultura, l’attenzione, la stratificazione.

Comincia così a delinearsi un modus-operandi, qualcosa che non è solo una professione, ma una metodologia. La disciplina che lega le discipline, intendendo così le modalità espressive che indaghi?
La moda è un mondo di lusinghe decadenti, acciambellato attorno al suo ombelico. Fashion is a fickle world. Difficile parlare di metodologia quando di parla di gusto. Lavorare con i segni che definiscono il linguaggio della moda significa lavorare sul concetto di rappresentazione, intervenendo sull’immaginario e le connessioni culturali e simboliche. La sicurezza inspiegabile del gusto per me struttura la capacità di scelta, la mia ossessione per la s/composizione. Il mio lavoro è un accrochage simbolico un po’ occulto, sicuramente intraducibile in termini strettamente metodologici. L’editing che svolgo, intuire-accogliere-selezionare-eliminare, è un processo che ha qualcosa diMarcello Dudovich, La Rinascente artistico nella sua immaterialità incomunicabile e qualcosa di molto pagano nella sua relazione con la finzione. Gli schemi di riferimento sono del tutto personali ed è questo che legittima e crea identità nelle mie scelte, come in un data-base, in cui c’è un foglio di calcolo dalla formula intraducibile il cui risultato è un distillare continuo, ossessivo. In tutto questo non provo fatica, c’è quasi un mistero nella facilità del compiersi di questo processo, come se la cosa si facesse da sé.

La negazione di un percorso formalizzabile sembra una caratteristica di questo metodo. La distanza dal ruolo di fashion director sembra plasmare la messa a fuoco degli obiettivi complessi.
Sì. Si tratta di un percorso effusivo, esoterico-artigianale. Mi esprimo attraverso quello che faccio, non c’è percorso razionale o predefinito ma c’è ciò che sono io. La moda è funzione non arte, e questo è chiaro, almeno per me. Per altri credo di no. Ma come un curatore per una mostra – occupazione molto alla moda oggi peraltro – io mi occupo delle adiacenze e di attribuire senso a un percorso percettivo. Posso uccidere il successo di un brand nel mio processo di impaginazione, così come un curatore maldestro e goffo può annichilire il potenziale di un’opera accostandola malamente ad altre. Io lavoro sull’omogeneità o l’eccentricità dei contenuti, agendo sulla percezione visiva ed emotiva, esperienziale di chi attraversa uno spazio. Stimolante il desiderio, manipolare con grazia (perversa) l’attrazione inconsapevole.
Tutto questo Tiziana Cardini lo compie, senza dimenticar che la responsabilità delle scelte estetiche deve sposarsi con i conti.
La porosa sensibilità di cui parla, l’accoglienza degli stimoli, la selezione all’interno del vasto catalogo dei gusti, mi ricorda la protagonista di Pattern Recognition di W.Gibson. Ora Cayce Pollard ha un volto.

M2

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 34. Te l’eri perso? Abbonati!

foto in alto: La Rinascente ADV
art: Christoph Radl foto: Patrick Demarchelier

[exibart]

3 Commenti

  1. mi dispiace un po’ che la signora in questione parli davvero filosofese astratto.di parole vuote.incomprensibile, mi chiedo se il giornalista abbia capito davvero qualcosa di questa donna tutta piena di se’.pesante.come si permette lei, architetto,con un “padre”in casa nostra,Gianfranco Ferrè,della moda, di dire che la moda non è arte!è un’affermazione fuori luogo.obsoleta.e pretenziosa, dato che tutto il contesto riguarda un’operazione rappresentante il mondo Moda e piu’.
    sarah.
    roma.

  2. Probabilmente Tiziana Cardini è una persona interessante ma il suo discorso è alquanto astratto. Non credo che pensi e parli così nel mondo “reale”. Dato soprattutto il ruolo che ricopre; nell’industria della moda contano più i fatti che le parole…se poi astratte. Anche Wallpaper* dedica un trafiletto alla notizia della Rinascente, mettendo in luce il ruolo di Vittorio Radice, l’uomo che ha trasformato Selfridges di Londra (e le vetrine attirano sempre molta attenzione). Le aspettative sono quindi molto concrete e poco astratte.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui