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Met Gala 2025: una ode al black dandyism, tra glamour e contraddizioni
Moda
Il Met Gala 2025 si è svolto a New York sotto il segno della sartoria black, con un tema potente e culturalmente denso – Superfine: Tailoring Black Style – omaggio alla cultura del Black Dandyism e alla sua valenza storica e politica. Curata da Monica L. Miller, la mostra del Costume Institute ha ispirato il dress code della serata – Tailored for You – invitando gli ospiti a esplorare il confine tra moda su misura e identità personale, con particolare riferimento alla tradizione sartoriale afroamericana. In un momento storico così complesso per gli Stati Uniti con la svolta conservatrice di Donald Trump, la scelta di questo tema, specie per la mostra, per la prima volta, celebra la cultura black e vuole essere un segnale importante di resilienza.
Non a caso il Black Dandyism, nato come forma di ribellione estetica e affermazione individuale nel contesto della discriminazione razziale, ha occupato il centro della scena non solo come codice stilistico ma come dichiarazione culturale. La sua rilettura contemporanea ha trovato spazio su un blue carpet che, però, ha mostrato una certa moderazione estetica, più “Gala” che “Met”.
Alcuni colpi di scena di questo Met Gala
A infiammare la serata, l’apparizione tardiva e spettacolare di Rihanna, che ha annunciato la sua terza gravidanza in un look firmato Marc Jacobs, realizzato insieme a Jahleel Weaver. Il completo, ispirato alla sartoria maschile con elementi ottocenteschi, è stato uno dei più centrati della serata, unendo la dichiarazione personale al tema collettivo.
Tra i look più acclamati, quello di Teyana Taylor, considerato da molti il migliore per coerenza tematica, e l’apparizione di Diana Ross, tornata dopo oltre 20 anni con un abito total white con lungo strascico disegnato dal nigeriano Ugo Mozie. Spiccano anche le interpretazioni di Janelle Monáe in Thom Browne, Jenna Ortega in Balmain e Emma Chamberlain in Courrèges, che hanno giocato con i codici sartoriali in chiave creativa e concettuale.

Look spettacolare anche per Colman Domingo, attore e icona di stile black, selezionato da Anna Wintour per comporre la squadra di presentatori del Met Gala 2025, che si è ispirato a uno dei modelli di riferimento della mostra, il guru della moda André Leon Talley. Ha indossato una cappa solenne e voluminosa, plissé, arricchita da maxi pettorina con perle e paillettes: una creazione firmata da Valentino. E sempre Valentino con Alessandro Michele ha vestito Lana del Rey con un abito lungo e fluente in velluto nero e raso marrone. Sulla schiena, il pizzo incrostato faceva bella mostra di sé tra un fiocco nero con piume. Un’interpretazione raffinata e sobria della sartoria, con una silhouette caratterizzata da un corpetto pulito e una gonna morbida e plissettata che ha sfilato nel gennaio scorso come secondo look della collezione haute couture di Valentino.
Un bilancio di questa edizione
Tuttavia, non sono mancate critiche e delusioni. Il tono generale dei look è parso eccessivamente prudente, con un uso abbondante di completi bianchi e neri e poca voglia di osare, specialmente da parte dei grandi sponsor. Louis Vuitton, in particolare, è stato accusato di banalizzare il tema: il completo basic di Pharrell, co-chair della serata, e la scelta di vestire le proprie muse quasi nude, come nel caso di Lisa con la controversa raffigurazione di Rosa Parks sulle culotte, hanno sollevato interrogativi sull’effettiva comprensione e rispetto del messaggio culturale.
Anche la scelta ricorrente di replicare look da sfilata senza adattamenti significativi – come nel caso di Zendaya e Anna Sawai, vestite in modo identico – ha alimentato la percezione di una serata più attenta al logo che al concetto. Se il dandismo nero ha sempre significato resistenza, eleganza e individualità, molti outfit sembravano indulgere nel contrario: omologazione, branding e superficialità.
Sul carpet realizzato dallo scenografo Derek McLane, che ha reinterpretato un dipinto dell’artista Cy Gavin, componendo una cornice di oltre 7mila fiori sospesi, hanno infatti sfilato principalmente i mega brand che hanno poca connessione autentica col tema. Tra i pochi designer indipendenti si è distinta Grace Wales Bonner che ha fatto il suo debutto al Met Gala vestendo FKA Twigs, Lewis Hamilton, Omar Apollo, Jeff Goldblum, Tyler Mitchell e Antwaun Sargent. Bonner, nota per il suo mix unico di abbigliamento sportivo e sartoriale, ha mantenuto un tono classico, catturando la vera essenza del dandismo nero per il tema di quest’anno.
Come ha commentato il giornalista e critico Antonio Mancinelli: «Capitali e sponsor parlano la lingua dell’élite occidentale che da secoli estetizza e fagocita l’identità altrui per renderla compatibile coi suoi salotti buoni. E poi: che questo tema sia stato scelto solo dopo la scomparsa di Andre Leon Talley, icona della moda, storico vicedirettore di Vogue licenziato dalla Wintour perché grasso, è una bestemmia. E l’Africa? Le origini vere del dandy nero? Relegate a qualche nota a piè di didascalia. È buffo che sia fatto nascere tra Harlem e Savile Row, ignorando che i pionieri di eleganze ostentate e sovversive furono i sapeurs di Brazzaville, gli swenka zulu in Sudafrica, o il re Cetshwayo in visita a Londra nel 1882 in tweed ma con l’isicoco (il copricapo tradizionale), il sarto Dapper Dan o l’influencer Bafana Mthembu. Invece di raccontare una genealogia esplosiva e indocile, consegnano una narrazione dove l’eleganza è solo posa e il corpo è scolpito in manichini-Ken da rassicurazione bianca. Ogni volta che il sistema bianco scopre (e celebra!) la cultura nera, lo fa col garbo di chi allestisce una teca: l’oggetto va illuminato, non ascoltato. In definitiva, non è una mostra sull’identità black, ma un’altra collezione di trofei per l’industria bianca del lusso. Mentre in Congo i sapeurs continuano a vestirsi come principi senza regno, a New York si stappa champagne per celebrarne la dimenticanza. Eleganti, sì: ma sempre colonizzati».
A bilanciare il tutto, il successo economico della serata: i 31 milioni di dollari raccolti per il Costume Institute segnano un record assoluto, decretando il trionfo del Met Gala 2025 per la raccolta fondi. Nei Stati Uniti sempre più conservatori, con lo spettro delle politiche trumpiane sullo sfondo, il rigore formale del red carpet potrebbe aver rappresentato una strategia deliberata per mostrarsi composti, rassicuranti, “presentabili”.
In definitiva, il Met Gala 2025 pur omaggiando un tema fondamentale e urgente, ha dimostrato anche quanto sia difficile coniugare lo spettacolo della moda con un discorso politico autentico. Un invito, forse, a riconsiderare quanto la forma possa davvero contenere il contenuto.