03 giugno 2019

MODA

 
Lo specchio del “green-fashion” per nascondere lo spettro della realtà
di Chiara Antille

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Iniziamo a dire le cose come stanno. 
Tutti parlano di sostenibilità. Dai marchi fast fashion ai marchi di lusso. 
Nei corridoi delle aziende si sente il brusio di imprenditori che approfondiscono il tema della sostenibilità intesa come valore aggiunto e indispensabile per un’azienda. Se fino all’anno scorso le fibre naturali erano un’utopia per certuni, la bella fanciulla dagli occhi azzurri ha puntato la sveglia di venerdì facendo risvegliare magicamente diverse aziende. 
Effettivamente ci stavamo un po’ annoiando, a parte qualche bella collezione sparsa e un po’ di aziende che diminuivano i margini di profitto, la situazione era piatta. 
È bastato aggiungere il termine “sostenibile” per far parlare di sé e accennare ad una crescita dell’utile. Come se il riciclo, l’utilizzo limitato di acqua, i tessuti realizzati con fibre naturali fossero novità dell’ultimo anno.
NO, non sono una novità. Questi argomenti avrebbero dovuto interessarci fin dal primo giorno in cui è nata la moda. Avremmo dovuto interrogarci nel momento in cui eravamo alle 8 del mattino fuori dai negozi Zara il giorno del “Black Friday”. Avremmo dovuto porci qualche domanda quando i nostri jeans firmati da qualche fast fashion di turno scolorivano lasciandoci sulla pelle la tintura. Avremmo dovuto chiederci prima perché paghiamo così tanto un maglione quando il costo della manodopera è molto bassa anche quando si parla di marchi di lusso. Non sono argomenti di adesso. Quello che fatto è fatto e chissà quante aziende dicono di essere sostenibili e invece poi sotto sotto hanno “aiutato” l’ambiente producendo 300 jeans stando attenti a non calpestare qualche foglia. E gli altri 2000 jeans? Come li hanno prodotti? Che genere di tessuti hanno utilizzato? I lavoratori sono pagati a dovere? Esistono davvero quelle fabbriche localizzate chissà dove? Come sono tenute queste fabbriche? Chiediamocelo quando sugli editoriali di moda leggiamo green.
Non bastano documentari a salvaguardare i posteri, dovrebbero prendere una decisione concreta i vari stati perché la moda non è un settore elitario riservato a pochi. Solo nello stivale, secondo il sito Fashion Network, “L’industria della moda è il secondo settore manifatturiero in Italia dopo le attività metallurgiche”. Dunque di elitario ha solo i prezzi e neanche quelli se consideriamo gli outlet o varie svendite organizzate dalle aziende stesse. 
Iniziamo a distinguere i vari greenwashing dalla verità. E se non sappiamo distinguere da soli chiediamo spiegazioni dettagliate e iniziamo a pretendere risposte concrete ed esaustive.
Chiara Antille

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