09 gennaio 2006

Monsieur Costume National

 
Un signore dal fare timido e romantico. Una moda classica che evita con sapienza di essere retrò. Storia di Ennio Capasa e di Costume National. Da Lecce a Milano, poi in giro per il mondo e ritorno. Un’azienda tutta italiana, con il nome che viene dalle pagine di un libro antico…

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Qual è stato il suo percorso formativo? Com’è diventato designer?
Nasco a Lecce, dove faccio il liceo artistico. Ma la moda nasce dall’infanzia, dalla mia famiglia. I miei genitori hanno dei negozi di tendenza dagli anni Cinquanta. La passione di famiglia è stata il primo approccio. Poi mi sono trasferito a Milano dove ho frequentato Brera per quattro anni. Dopodiché intraprendo un viaggio -perché non volevo fare il militare- e questo viaggio dura tre anni. Il viaggio è in Oriente, e in Giappone ritrovo la moda, mio malgrado, e inizio a lavorare con Yohji Yamamoto. Fino a quel momento ero stato un consumatore di moda, da Yamamoto imparo gli aspetti organizzativi.
Una volta tornato in Italia inizio, giovanissimo, questa mia maison che si chiama Costume National, per il desiderio di rimanere dietro le quinte.

Come nasce Costume National?
L’idea del nome viene da un libro antico che mi fu regalato, il nome mi piacque, suonava. Il progetto iniziale fu finanziato da mio fratello, il quale aveva già fatto alcune cose importanti nella moda (era socio di Romeo Gigli, ndr) e garantì la solidità economica.

Competenze interne, un codice del dna di famiglia. C’è un campo dove più si esprime questa attitudine?Una pagina pubblicitaria di Costume National
Io direi che sfocia fondamentalmente nell’approccio. Un approccio molto antico. La nuova generazione dei designer vengono dal marketing, sono art director. Io vengo proprio dalla materia, e in questo senso sono un couturier di fatto. Lavoro a manichino, faccio molti schizzi, molto prove. Il 70% dei miei tessuti sono esclusivi.

Questa curiosità-laboriosità la porta a misurarsi anche in altri campi?
Nasco come designer d’interni. All’inizio la moda la usavo, la consumavo. A parte la pittura e la scultura, io facevo i negozi. Da ragazzino oltre a leggere i fumetti, leggevo tutti i giornali di architettura. Per cui quando ho iniziato a sviluppare la mia idea, il mio mondo estetico, mi sono portato dietro tutto questo. Era naturale.

Costume National e Ducati…
Il progetto con Ducati vede come protagonista C’N’C, la linea della maison più spostata verso lo street. A me sono sempre piaciute le moto e il mondo delle moto. La libertà, gli anni settanta. Ducati ha sempre rappresentato sempre una di quelle cose italiane, belle, per cui quando si è presentata la possibilità di questo co-branding, il progetto si è sviluppato nel segno di un’energia: il piacere delle moto e l’abbigliamento street-wear.

Le feste di Costume National sono sempre state un appuntamento imperdibile per svariate comunità di persone. Perché?
Le feste sono da sempre mosse da motivi strategici, nella festa si celebra la possibilità di condividere energia positiva. Questo non cambierà mai, nemmeno per una casa di moda. Casomai è l’occasione di fare entrare alcune comunità di persone nel tuo mondo.
A mio giudizio, dal 2000, l’approccio della moda è cambiato. Tra i primi negli anni novanta, sono stato tra i fautori della liberazione da parte della moda di certi tabù: immaginare una moda modellata sulla sensibilità degli individui, una moda più possibilista, più democratica.
Credo di esserci riuscito. Fino a quindici anni fa la moda era una specie di diktat. Oggi la moda deve essere diversa, creare dei mondi estetici in cui poter entrare e uscire, totalmente e in parte. Condividere quell’estetica o una parte, quando vuoi tu e/o come vuoi tu.
Questo è un esempio della possibilità di liberalizzare il pubblico. E la moda ha contribuito in questo senso.

Un ritratto di Ennio CapasaModa democratica. Cosa pensa allora di H&M che fa disegnare collezioni a Karl Lagerfeld, Elio Fiorucci, Stella McCartney?
Da un punto di vista personale la cosa mi danneggia. Ho visto i miei jeans, su cui io ho passato giorni e notti a lavorare, copiati e venduti alla metà del prezzo a cui li vendo io. Razionalmente, da imprenditore, loro sono delle canaglie. Però riconosco anche il fatto che il consumatore molto basso non è mai stato considerato dalla moda. Oggi infatti l’esigenza del design è diffusa in tutte le comunità.

Costume National, un nome che non fa pensare ad un’azienda italiana. Le capita ancora che si incorra nell’errore?
Sì e forse è uno degli errori che io ho commesso. Forse ero molto giovane e avrei dovuto ragionare di più sul nome, essendo io italiano. Non mi posi il problema.

La stampa spesso scrive Ennio Capasa per Costume National, ignorando che fondamentalmente sono la stessa cosa…
Negli ultimi anni c’è stata una personalizzazione della moda, per cui la gente vuole sapere chi c’è dietro. Questo aspetto è la logica conseguenza del fatto che la moda si stia democratizzando. Se la moda non è più un diktat ma un mondo estetico all’interno del quale io posso entrare, io voglio vederne la faccia. Capire se mi piace. Un livello di comunicazione moderno, naturale, di condivisione. Costume National è un punta di vista estetico che si evolve, non è statico ma ha un codice di valori molto precisi. Lavorare con la bellezza e per la bellezza è un privilegio.

intervista a cura di M2

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n.26, novembre-dicembre 2005


CoSTUME NATIONAL
via Fusetti 12 , 20143 Milano
www.costumenational.com


[exibart]

5 Commenti

  1. Nelle feste c’è la possibilità di creare forze positive? Sempre?
    Con la sua dolce espressione desta simpatia e fiducia, si capisce che nel suo lavoro mette tutto se stesso, viaggiando per esperienze nuove la sua azienda ha riportato il meglio delle sue esperienze.
    Le esperienze sono importanti per poter far scaturire idee per le novità.
    Complimenti per i risultati dovuti alla sua intelligenza e alle sue capacità.
    Maria

  2. Onestamente, senza voler togliere nulla al suo genio, coraggio e duro lavoro, credo che abbia avuto anche un pizzico di fortuna o un aiuto personale. Non si entra da Yamamoto semplicemente perchè si è ‘appassionati’ o ‘in cerca di un lavoro’…no, assolutamente, no!!
    Figuriamoci, se è difficile collaborare in Italia con Armani, per esempio, in Giappone, a causa della struttura sociale e cultura, lo sarebbe ancor più!
    Ergo…non tutti siamo in grado di compiere gli stessi passi grazi a mere virtù personali…E.

  3. io sono un asemplice diannovenne di lecce e studio moda e desing a Urbino..
    volevo sottolineare che per me enni capasa oltre che essere un compaesano eccellente, che porta il nome della nostra terra nel mondo è anche una delle persone a cui senz’altro ispirarsi, sopraytto se hai interessi in questo campo…il 14 febbraio sosterrò un esame da tutti definito il più duro, quello di disegno industriale e dovendoci ispirare ad una figura esemplare della moda, io mi sono ispirata al mio sogno…ENNIO CAPASA…per me un grande e senz’altro nn tutti possiamo essere della stessa opinione…mi limiterei a esprimenre la mia appassionata ammirazione…sperando con tutto il cuore e magari con quel pizzico di sogno che alla mia età bisogna avere, ma anche con tantissima ambizione, di arrivare MAGARI a ricevere un suo sguardo artistico ma anche semplicemente a poter stringere la mano ad una figura per me così importante!
    nn ho fatto altro che ripetere quanto io sia affascinata da quest’uomo, ma credetemi…la passione che ci lega è grande anche se affrontata su binari senz’altro differenti, per ora consumatrice di moda e ammiratrice, comtinuerò a studiare e a battermi per arrivare in qualcuno di quei posti con le mie forze, potendo essere orgogliosa di quello che ho fatto!
    grazie per l’ispirazione e la passione che metti in ogni tuo movimento Ennio…
    laura(galatone, lecce)…29gennaio2008…(urbino)

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