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Antithesis ad alta quota: Sergio Camin e Jano Sicura a Cavalese
Mostre
C’è un pensatore all’ingresso del Museo d’Arte Contemporanea di Cavalese che, pur forse involontariamente, dispone lo spirito perché trovi nell’Antithesis di Sergio Camin e Jano Sicura, curata da Marco Nones, un suo pieno compimento, una piena autocomprensione di sé e oltre a sé. E c’è anche un ornitorinco, in un filmato in perfetto stile Attenti a quei due e su una fotografia proprio di quei due, Camin e Sicura, che per la sua stessa essenza – un mammifero, ma ha un becco e depone le uova, ha quattro zampe, ma palmate – sembra vivificare che tutto è intrinsecamente contraddittorio.

Sergio Camin vive a Ville di Fiemme, Jano Sicura a Canicattini Bagni: li separano 1500 chilometri che, raccogliendo la lezione di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, possiamo provare a percorrere con un andamento non lineare ma dialettico, come dialettico è il momento dell’Antithesis, sia essa quella teorizzata dal filosofo tedesco padre dell’Idealismo, o quella che si espande per tutti e tre i piani del museo, muovendosi – come la realtà – in un costante divenire.
Filosoficamente comprendiamo la dialettica come il necessario confronto tra una tesi e un’antitesi, che possiamo declinare anche nei termini di un confronto tra un’idea in sé e per sé – dunque l’Idea in se stessa, nella sua natura totalmente astratta, fuori dalla concretezza della natura – e l’idea fuori di sé – quindi l’idea che esce da sé e si perde in quanto vi è di opposto a lei, la natura concreta nella sua limitazione spazio temporale. Parafrasando in termini artistico-visuali questi due momenti separati, nell’ambito di Antithesis Camin e Sicura sono due idee in sé e per sé – ognuno nella propria stanza espositiva – che escono fuori da sé – in altri spazi che condividono.


Sergio Camin propone una selezione di disegni a matita e acquerelli che, scrive Marco Nones nel catalogo che accompagna la mostra, «sono linee spezzate dalle forme che Camin incontra visitando luoghi immaginari abitati da scogli, ulivi, città invisibili, labirinti». Guardandoli da vicino oltre a essere così precisi e assoluti sembrano, sorprendentemente, trasferire sui fogli bianchi i pensieri di Mirtillo, uno dei protagonisti di La foresta-radice-labirinto di Italo Calvino: «La città di pietra squadrata e la foresta-groviglio m’erano sempre sembrate nemiche e separate, senza comunicazione possibile. Ma ora che ho trovato il passaggio mi sembra che diventino una cosa sola… Vorrei che la linfa della foresta attraversasse la città e riportasse la vita tra le sue pietre. Vorrei che in mezzo alla foresta si potesse andare e venire e incontrarsi e stare insieme».

Come nella fiaba di Calvino, anche nelle opere di Camin ci si può perdere. E parimenti accade con i disegni e le sculture di Jano Sicura, vitali, vibranti, impulsivi e veloci a pastello e carboncino su carta e forti e determinati quando si innescano nello spazio in metallo. Scrive Nones che «a muovere pastelli e carboncini è una misteriosa energia che pare avvolgere il tempo. Ne risultano grovigli, nodi, gomitoli» che in ferro «risolvono nella terza dimensione graffi, scarabocchi, gesti istintivi». Forgiando questi scarabocchi con il ferro, Sicura crea e dà forma concreta al legame tra la scultura e il segno grafico–pittorico che ne è sorgente primaria: non è forse questo il senso, visivo, della vita in continua trasformazione?


Possiamo affidarci alle opere di Camin e Sicura accogliendone la metafora della complessità della vita che viviamo ogni giorno: ogni lavoro esposto sembra infatti simboleggiare quel movimento dialettico dove il perdersi viene visto come un nuovo modo di cercarsi e di trovare un mezzo per ristabilire l’ordine antico tra caos e razionalità, tra uomo e natura. Perdersi, come l’idea che esce da sé e si perde in quanto vi è di opposto a lei: esiste dunque un’antitesi tra segno e gesto? Si, necessaria, perché si risolva in una sintesi che va oltre la forma espressiva ricomponendo le differenze in una nuova unità: un’idea che ritorna in sé, che si fa Spirito, e che vive concretamente nella natura anche attraverso le opere di Camin e Sicura, che in questo vivere nella storia acquistano, insieme all’uomo, piena coscienza di sé.
