04 gennaio 2023

Arte in Opera: Giulio Paolini, Salvo e Jonathan Monk a Palazzo della Ragione di Bergamo

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Nell’anno di nomina a capitale italiana della cultura (BGBS2023), Bergamo ospita Palazzo della Ragione “Arte in Opera” con Giulio Paolini, Salvo e Jonathan Monk. Fino al 29 gennaio

ARTE IN OPERA, installation view, Palazzo della Ragione, Bergamo ©Ph. Paolo Biava

“Arte in Opera”, inaugurata lo scorso 11 novembre, in concomitanza con l’apertura del Festival di Arte Contemporanea ArtDate, promosso da The Blank e Comune di Bergamo, e giunto quest’anno alla sua dodicesima edizione, è stata pensata dai curatori, Giacinto Di Pietrantonio e Stefano Raimondi, come un dispositivo ottico. 

Le opere di Giulio Paolini, Salvo e Jonathan Monk dialogano tra loro e con lo spazio – il più antico Palazzo Comunale in Italia – all’interno di un progetto allestitivo che comprende i tavoli di autoprogettazione di Enzo Mari. 

Nella Sala delle Capriate, ricca di numerosi e importanti affreschi e strappi del periodo medioevale e rinascimentale, i tre maestri dell’arte contemporanea riflettono sui temi dell’autorialità, della storia e del tempo: il risultato è «una grande arena aperta in cui si alimentano tempi e storie dell’arte e si analizza il tema dell’autore», aveva raccontato Di Pietrantonio. La modalità con cui un’opera viene immaginata e/o semplicemente realizzata, influenza direttamente la posizione del pubblico rispetto a essa. Dunque non è facile stabile se il suo funzionamento dipenda dai nostri processi percettivi o li disturbi. 

Giulio Paolini, Il modello in persona, 2020. Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino. Installation view, Palazzo della Ragione, Bergamo ©Ph. Paolo Biava

Le opere esposte di Giulio Paolini ci immettono subito nel vortice della riflessione sul ruolo dell’autore e sul fare dell’opera, ovvero il momento stesso in cui un’opera sta per prendere corpo. Emblematico è “Il modello in persona”: due cavalletti collocati uno di fronte all’altro, leggermente sfalsati, sorreggono l’uno una veduta fotografica dello studio dell’artista, l’altro una lastra di plexiglas. Il secondo cavalletto trova inoltre un riscontro in quello situato al centro della fotografia. Tra i due cavalletti reali, su una base trasparente che raddoppia quella visibile nella fotografia, si trova il calco in gesso del “Narciso” di Vincenzo Gemito, corredato di un mappamondo nella mano destra, nel ruolo di modello “in persona”, in posa per il presunto quadro, ancora ignoto. Quello che vediamo è il momento stesso in cui un’opera sta per prendere corpo. Lo studio d’artista, luogo per eccellenza riservato al divenire di un’opera, trasposto nello spazio dell’esposizione, fa coincidere i due luoghi: per Paolini, infatti, lo studio, così come l’ambiente espositivo, sono deputati ad annunciare e ospitare il rendersi manifesto di una rappresentazione. 

Jonathan Monk, Corner Piece (for Bas Jan Ader), 2005. Courtesy Galleria Massimo Minini, Brescia. Installation view, Palazzo della Ragione, Bergamo ©Ph. Paolo Biava

Forse non tutti sanno che molti lavori di Jonathan Monk fanno riferimento agli artisti concettuali italiani degli anni Sessanta e Settanta, con un particolare interesse proprio per Giulio Paolini e Salvo. I suoi “Corner Pieces” o i lavori della serie “A three dimensional imitation of a three dimensional imitation”, in cui i numerosi triangoli rappresentano un dettaglio ingrandito di una scansione 3D dell’opera Mimesi di Giulio Paolini, definiscono gli angoli dello spazio artistico e introducono a quella poetica tipica dell’artista britannico che ripropone, rielabora e riesamina opere seminali dell’arte concettuale e minimalista con mezzi arguti, ingegnosi e irriverenti. Di Salvo, cui Monk ha dedicato numerose opere, ha dedicato numerose opere, sono presenti una serie di lavori in cui la ricerca dell’io, l’autocompiacimento narcisistico, il rapporto con il passato e con la storia della cultura diventano nodi essenziali della sua ricerca. Nelle opere “Autoritratto come Raffaello” e “12 Autoritratti”, in cui Salvo compare come un panettiere, un soldato o intento in altri mestieri, è evidente la ricerca sul ruolo della storia, del passato e dell’io che l’artista ha condotto alla fine degli anni Sessanta e nei primissimi anni Settanta. 

ARTE IN OPERA, installation view, Palazzo della Ragione, Bergamo ©Ph. Paolo Biava

L’idea di metterli insieme, collocati sui tavoli di autoprogettazione proposti da Enzo Mari – cinque volte Compasso d’Oro che ha deciso di pubblicare i progetti e i disegni costruttivi di mobili, rilasciandoli con licenza libera e aperta, allargando e stravolgendo il concetto di autore – ha contribuito alla definizione di un percorso che si muove lungo un asse che dà forma a una matrice di una relazione assai significativa, quella tra collaborazione ed estraneità, in cui si gioca la definizione di autore.

Chi è l’autore dell’opera? È solo l’artista o anche lo spettatore che entra in gioco guardando l’opera? Ci sono opere che non sono mai finite, se non quando interviene lo spettatore.

ARTE IN OPERA, installation view, Palazzo della Ragione, Bergamo ©Ph. Paolo Biava

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