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Bellezza e sofferenza della Terra. Al Mart di Rovereto il testamento visivo di Sebastião Salgado
Mostre
Il 23 maggio 2025 ci ha lasciati Sebastião Salgado, e con lui si è spenta una delle voci più luminose e consapevoli della fotografia del nostro tempo. Un testimone instancabile della Terra e dell’umanità che ha saputo attraversare la sofferenza del mondo, restituendola sempre con uno sguardo empatico e costruttivo. Poco più di un mese prima, il 12 aprile, è stata inaugurata Ghiacciai, una grande esposizione a cura di Lélia Wanick Salgado, compagna di vita e di lavoro, che oggi più che mai assume il valore più profondo di testamento visivo e culturale, un inno alla bellezza come strumento di coscienza e di speranza. Il progetto è in grado di sintetizzare tutta la forza etica ed estetica di un autore capace di restituire al pubblico non solo l’immagine di un paesaggio, ma il peso del tempo che lo attraversa.
La mostra, progetto nato da un’idea del Trento Film Festival, è visitabile fino al 21 settembre 2025 al Mart di Rovereto e fino all’11 gennaio 2026 al MUSE di Trento, ed è parte del programma dell’Anno Internazionale per la Conservazione dei Ghiacciai, proclamato dalle Nazioni Unite. Questa raccolta di oltre cinquanta immagini in grande e grandissimo formato documenta le distese glaciali più remote del pianeta: dalla Penisola Antartica alla Kamčatka, dalla Patagonia all’Himalaya, dal Canada alla Georgia del Sud. Nessun ghiacciaio europeo, troppo antropizzato, compare nei suoi scatti: Salgado ha cercato luoghi che avessero ancora un respiro primigenio, intatto, non violato. Luoghi che non solo raccontano la bellezza del pianeta, ma che ci parlano anche della loro fine imminente. In quelle distese bianche, immobili eppure in dissoluzione, si cela la fine di un’epoca geologica. La mostra lo dice con fermezza: i ghiacciai stanno scomparendo. E con essi un equilibrio millenario.

Se al MUSE di Trento una serie di immagini scattate nel Parco nazionale e riserva di Kluane fluttua nel “Grande Vuoto” progettato da Renzo Piano, al Mart di Rovereto si concentra il nucleo principale dell’esposizione. Più di cinquanta opere, accompagnate da una sala video che propone film e documentari sul tema della crisi glaciale, costruiscono un percorso visivo austero, ma travolgente. Le fotografie, solo apparentemente in bianco e nero, sono attraversate da sfumature seppiate che si riflettono anche nelle cornici marroni, come fossero le assi di una zattera di salvataggio. L’uso cromatico e una resa fotografica pittorica, quasi con una grana puntinata, suggeriscono il malessere sottile dei Ghiacciai, in posa nella loro ultima scena.
Nel testo introduttivo del catalogo, la climatologa Elisa Palazzi sottolinea come i ghiacciai siano vivi finché si muovono, così come quando si fermano drecretino la loro fine. Ed è proprio questo lento processo di spegnimento che Salgado documenta con la sua inconfondibile cifra visiva: i ghiacci non sono sfondo, ma protagonisti, presenze mitologiche in equilibrio tra eternità e dissoluzione. Le loro crepe, le superfici scolpite dal vento, gli iceberg alla deriva diventano metafore potenti della nostra epoca, ma anche della resilienza della natura. Come nelle sue serie più drammatiche – come Genesis o Amazônia – lo sguardo dell’autore attraversa queste distese gelate non solo per documentare la perdita, ma per celebrare l’incanto. Come amava ripetere: «Abbiamo il dovere di fare qualcosa di bello, di mostrare a tutti l’incanto della natura». È questo senso di bellezza attiva, di etica della meraviglia, che anima ogni scatto della mostra.

Come ha ammesso José Saramago, Salgado è stato un artista grandioso, che ha conosciuto attraverso i suoi viaggi ciò che di bello e di orribile c’è sulla Terra. E questa mostra sembra rispondere proprio a quel paradosso: mostrare l’incanto nella fine, cogliere la maestosità anche nella sofferenza. Salgado ha attraversato il mondo con questo doppio sguardo: ferito e pieno di meraviglia. Ed è proprio questa meraviglia che vuole trasmettere.
Quella di Salgado non è mai stata solo fotografia. Economista di formazione, ha scelto la macchina fotografica come strumento per comprendere e comunicare le grandi trasformazioni del mondo. Insieme a Lélia Wanick Salgado ha fondato l’Instituto Terra, con cui ha rigenerato migliaia di ettari della foresta atlantica brasiliana, un progetto di restituzione, concreto e visionario, come lo è sempre stato il suo lavoro, che ha documentato la sofferenza, ma ha anche creduto nella capacità dell’uomo di guarire ciò che ha ferito.

Ghiacciai si impone oggi come un lascito e un invito. Anche in questa serie, sul silenzio dei candidi paesaggi bianchi incombe l’ombra nera e distruttiva della presenza umana. Salgado quindi cerca una coscienza, una consapevolezza che ci chiede di non dimenticare. Le fotografie ci ricordano che ciò che vediamo – questi ghiacciai, queste creste scolpite, queste acque immobili – non durerà per sempre.
Oggi che Sebastião Salgado non c’è più, le sue fotografie continuano a parlare e chiedono attenzione, cura, responsabilità, indicandoci la strada dell’ascolto, della conoscenza e di una meraviglia che vale la pena difendere.















molto interessante l’articolo su SEBASTIAO SALGATO. (MERITA DI PIU’)