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Il Natale 2025 è imminente ma proiettiamoci in avanti: fine primavera 2026, Reykjavík. Mentre la città si prepara ad accogliere una nuova edizione del Reykjavik Arts Festival, Björk torna a occupare il centro della scena culturale islandese, con una mostra che promette di essere tutto fuorché un semplice “evento collaterale”. Alla National Gallery of Iceland il 30 maggio aprirà Echolalia, un progetto espositivo immersivo che attraversa musica, performance, ritualità e tecnologia, confermando – se ce ne fosse ancora bisogno – la natura radicalmente ibrida della ricerca dell’iconica cantautrice e musicista.
Il titolo gioca con un termine linguistico che indica la ripetizione di parole e suoni ascoltati ma qui l’eco diventa principio creativo: Echolalia è una mostra che parla di trasmissione, di voci che si moltiplicano, di corpi e paesaggi che risuonano nel tempo. Fonte di propagazione di questa energia non può che essere Björk, la cui forza generativa ha spesso dato il via a progetti collettivi costruiti in collaborazione con musicisti, artisti visivi, registi, designer e performer.
Il percorso occuperà tutte e quattro le gallerie del museo. Si partirà con una nuova installazione legata all’album che Björk pubblicherà nei prossimi mesi, pensata come introduzione a una nuova fase del suo lavoro. Seguono due ambienti già noti ai fan più attenti, ma qui riformulati in scala museale. Ancestress mette in scena un rito funebre e vitale allo stesso tempo, una processione musicale in una valle islandese aspra e ventosa, tra musicisti e danzatori vestiti di rosso, con Björk e il figlio Sindri Eldon all’interno del coro. A dialogare con questo primo movimento è Sorrowful Soil, un requiem polifonico dedicato alla madre di Björk, l’attivista ambientalista Hildur Rúna Hauksdóttir. Qui la voce si frammenta e si ricompone, con nove parti corali, 30 altoparlanti e un video ovale che fluttua sopra la lava incandescente del vulcano Fagradalsfjall.

In parallelo, la mostra segna anche un debutto istituzionale: Metamorphlings, la prima retrospettiva museale di James Merry, storico collaboratore di Björk e autore delle maschere che hanno contribuito a definire l’immaginario più recente dell’artista. Oltre 80 opere raccontano un decennio di lavoro sul volto come spazio di mutazione. Non solo maschere indossate da Björk sul palco e davanti alla camera ma anche lavori realizzati per personaggi come Tilda Swinton e Iris van Herpen.
Non è la prima volta che Björk entra nello spazio museale: solo lo scorso anno aveva presentato un’installazione sonora al Centre Pompidou di Parigi, basata su intelligenza artificiale e canti di animali estinti o in pericolo. Echolalia, però, appare come un progetto più intimo e insieme più corale, profondamente radicato nel paesaggio islandese e nella dimensione rituale del suo fare artistico.
La mostra sarà visitabile fino al 20 settembre 2026.












