15 novembre 2023

BUILDING, Milano: Glitch filtra i segnali di un’energia dell’esistenza

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Con Simon Callery, Angela de la Cruz, Peggy Franck, Pinot Gallizio, Mary Heilmann, Ilya & Emilia Kabakov, Andrea Kvas, Maria Morganti, Farid Rahimi e Alejandra Seeber, “Glitch”, da BUILDING, prende il nome - letteralmente - da un difetto di fabbricazione per spingere, e spingersi, verso una nuova dimensione di vitalità

Glitch. Exhibition view at BUILDING, Milano. Ph. Leonorado Morfini

De-coincidenza (dal francese decoincidance di François Jullien), mera-pittura, energia vitale: sono queste le prime parole che i curatori Chiara Bertola e Davide Ferri pronunciano a proposito di Glitch, la nuova mostra collettiva che BUILDING accoglie a Milano (fino al prossimo 27 gennaio 2024) e dedica alla pittura. 

In un tempo di ritorno alla figura come quello che stiamo vivendo, testimoniato da una sovra esposizione della pittura resa evidente dalle sempre più frequente e considerevole apertura di mostre in materia, Glitch si presenta come una discrepanza che i curatori rintracciano tra il supporto e il quadro – inteso come telaio – e tra l’immagine e il supporto. François Jullien nel 2017 scriveva «Chiamerò de-coincidenza il processo di apertura che lascia emergere – disfacendo dall’interno ogni ordine che, instaurandosi, si fissa – risorse precedentemente inimmaginabili», ecco allora data la possibilità di guardare le opere esposte di Simon Callery, Angela de la Cruz, Peggy Franck, Pinot Gallizio, Mary Heilmann, Ilya & Emilia Kabakov, Andrea Kvas, Maria Morganti, Farid Rahimi e Alejandra Seeber come se nascessero nel momento in cui l’immagine e il supporto non coincidono e lasciassero intravedere una possibilità vitale. 

Angela de la Cruz, Stuck (Blue), 2010. Olio e acrilico su tela, 270 x 128 x 50 cm

La mostra inizia al piano terra, dove l’opera di Angela de la Cruz, ci viene incontro per fare esperienza, concettuale e fisica, tanto della de-coincidenza, intesa come fuori uscita da una traiettoria, quanto della mera-pittura che gioca con l’idea di vera pittura, ripresa dal saggio di Derrida, La verità in pittura. Di fronte alla sua opera, Stuck (Blue), si ha l’impressione di una figura che non riesce a passare dalle pareti, restandone incagliata all’interno e al contempo esondando e disponendosi nello spazio fino a diventare altro: un altro a cui una pittura astratta dà vita. Non c’è contenimento, è vero, ma è forte la sensazione di una fuoriuscita energetica della materia: ecco la de-coincidenza, ecco la mera pittura, in senso di bassa, di materiale, che eccede lasciando trapelare un’inedita vitalità. 

Mary Heilmann
Firey Pour, 2011
. Olio su tavola, 101,6 x 80,65 cm. 
© Mary Heilmann
ph. Thomas Müller
Courtesy of the artist, Häusler Contemporary, 303 Gallery, New York, and Hauser & Wirth

Tutte le opere esposte sono esperienze con il materiale e con lo spazio, in senso concettuale e a volte anche fisico. Così per esempio nelle sue tele Splashy Cut (dittico, 2013) e Firey Pour (2011) Mary Heilmann – che sta di fronte al dipinto non diversamente da come starebbe di fronte a una superficie ceramica – reinterpreta in maniera spensierata la griglia modernista e fa assumere ai suoi reticoli la forma del movimento del quadro. La sensazione di libertà, dai limiti e dalle inibizioni di una superficie chiusa quella della tela bianca, risuona nelle opere di Farid Rahimi, Empty Walls 88 (al piano terra) e Screen Room 14 (al primo piano), entrambe concepite nel segno della proliferazione, che le fa uscire dal quadro verso lo spazio reale. Spiega a proposito Rahimi: «il farsi di ogni lavoro è processuale: è la pittura che si inventa nel momento in cui è generata. C’è un’idea costruttiva dello spazio attraverso piani e stratificazioni. È un lavorare continuo, anche aleatorio, da cui ha origine, senza predeterminazione, l’immagine».

Glitch. Exhibition view at BUILDING, Milano. Ph. Leonorado Morfini

Al primo piano espositivo l’energia passa attraverso le opere Pinot Gallizio, che escono dalla posizione statica della pittura abitando – e non rappresentando il paesaggio. Le opere della serie Senza titolo (pittura industriale), di dimensione ambientale, entrano nello spazio articolandosi in quante più direzioni al corpo dello spettatore siano permesse e relazionandosi con Blue Painting (Ravenna) di Simon Callery. Tutti i suoi lavori, compreso questo come anche Rural Wallspine (al piano inferiore), nascono da una relazione, per contatto, tra la dimensione fisica del quadro e il paesaggio. Callery spiega: «Cerco sempre una strategia per connettermi al corpo dello spettatore. Penso molto a come restituire l’esperienza dello stare di fronte in tutta la sua potenza. Non disegno, ma vedo». L’abitabilità della pittura di Callery, che esce dalla bidimensionalità, rivive anche nelle opere di Maria Morganti (Uno alla volta) che nascono da una ciotola (idealmente quella al piano inferiore, proprio di fronte a Callery, intitolata Gemmazione n°5) in cui l’artista ogni giorno crea un colore che poi va a stendere sulle serie in lavorazione. Queste sedimentazioni entrano nello spazio come porzioni, materiche e materiali, di tempo, contribuendo all’origine di uno spazio fertile di libertà, in cui la vita può scorrere, spaziare, completarsi e rinnovarsi. 

Glitch. Exhibition view at BUILDING, Milano. Ph. Leonorado Morfini

Proseguendo al secondo piano Peggy Franck trasforma le sue opere in un organismo mobile tra le pieghe di spazi oscuri, dentro le quali smarrire il senso della visione fissa e frontale e accedere a uno spazio indeterminato, anonimo e totalmente immersivo mentre i lavori di Alejandra Seeber si presentano come sfondi, o come paesaggi dello spettatore, dove lo spettatore entra dentro un set e dove l’opera diventa luogo per accogliere le cose che possono accadere. Ma c’è un momento, tornando al piano terra, in cui il corpo si attiva, si muove intorno, cerca di muoversi dentro. Siamo di fronte a Untitled di Andrea Kvas, un’opera di grandi dimensioni che si sviluppa orizzontalmente a terra. Non è tela, è cartone alveolare. «Quello che mi interessa non è riuscire a rappresentare quanto piuttosto trovare delle dinamiche analoghe alla produzione di determinati fenomeni naturali, come l’alterazione di una pozzanghera per esempio. Nell’opera c’è un accentramento di energia, nella zona ovale, e tutto intorno è terreno di lavoro, dove nel mentre i materiali venivano appoggiati e lavorati. Ci sono spatole, cucchiaini, parte di impasti, fondi di vasi di colore. Fondere il lavoro fisico con la restituzione dell’opera deve in qualche modo esistere sotto forma di traccia, deve coincidere».

Ilya & Emilia Kabakov, Charles Rosenthal, Im Park 1930, 1998. Olio su tela, scatola di legno, lampada,
77 x 132,2 x 16,4 cm. Courtesy of Galerie Thaddaeus Ropac, London · Paris · Salzburg · Seoul

Kvas invita a esplorare tutti i dettagli dell’opera – veri e propri riferimenti legati al fare pittorico e alla materia pittorica – mentre non può fare a meno di sottolineare il potere immaginifico che l’opera Charles Rosenthal, Im park 1930 di Ilya & Emilia Kabakov mantiene nonostante il glitch del mostrare il retro. «È il fulcro del lavoro», dice Kvas a proposito di quell’opera in cui rappresentazione pittorica (un minuzioso dipinto impressionista) e realtà (una lampadina, sul retro della tela, visibile) de-coincidono. È qui, allora, in questo apparente errore di fabbricazione, che la verità (di Glitch) della pittura riseide: nella dimensione materiale del dipinto, con cui il pittore si confronta e che lo spettatore abita, nello scarto che rimette in moto una sorta di vitalità energetica al suo livello primordiale».

Glitch. Exhibition view at BUILDING, Milano. Ph. Leonorado Morfini

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