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Cabinet: da BKV, una stanza sfida la logica e annienta il tempo
Mostre
Il progetto Cabinet si inquadra perfettamente nello spirito della galleria che lo propone. BKV Fine Art, nata dalla visione di Paolo Bonacina, Edoardo Koelliker e Massimo Vecchia, è una galleria ospitata in uno storico palazzo milanese di tre piani con seminterrato, una casa-museo che nei dettagli di una architettura raffinata e sobria avvolge in una dimensione temporale di inizio Novecento. In questo spazio carico di passato, trovano appropriata collocazione progetti culturali che propongono una conciliazione visiva e artistica tra antico e contemporaneo. Il tempo, la dimensione più contingente della nostra epoca, viene superato attraverso l’arte e i suoi linguaggi.
La mostra, aperta al pubblico dal 17 ottobre al 19 dicembre, nasce dall’iniziativa di Edoardo Koelliker di creare un dialogo tra la collezione Koelliker e la collezione Scarzella. Giovanni Scarzella è un giovane imprenditore che dal 2011 ha focalizzato la sua collezione alla valorizzazione dei talenti contemporanei, premiando la ricerca dei progetti e della pratica artistica. La sensibilità e le scelte si sono evolute negli anni e oggi, con più di 150 opere, esprime un forte orientamento sperimentale che guarda al contemporaneo privilegiando un’arte concettuale fondata su percorsi per lo più inesplorati e di elegante radicalità.

La collezione Koelliker nasce dalla passione di un altro imprenditore, milanese, Luigi Koelliker: cultore dell’arte che ha raccolto in collezione un patrimonio e una eredità artistica inestimabile, 1500 dipinti antichi, ma anche sculture manufatti arredi. Due collezioni diverse che si propongono di dialogare nell’assonanza della materia che riconosce se stessa, della ricerca concettuale che riconcilia, delle forme che ricorrono, dei linguaggi che si ripropongono nelle emozioni che si ripresentano, creando non già un ponte tra passato e presente, ma una adimensionalità che si fa spazio da riempire, con libertà di interpretazione e percezione.
Introduce alla stanza del Cabinet una delle recenti acquisizioni di Giovanni Scarzella: Hearts on Ice (2024), un lavoro di Jack O’Brien che ci ha ormai abituati alla complessità della sua ricerca e della interpretazione della realtà, in questo caso partendo dal richiamo pop per eccellenza che è la ciliegia, realizzata in una stampa fotografica ritoccata con pastello e vernice spray, su cui è stato applicato un oggetto in acciaio di uso comune. L’opera è visibile, ma anche ricoperta, attraverso uno strato di plastica trasparente termoformata che rimanda a fenomeni organici, processi e atteggiamenti ormai infiltrati nella nostra società. Evidente l’invito a leggere Cabinet con un approccio elastico atemporale privo di riferimenti che non siano l’armonia e l’assonanza dei messaggi dietro le opere.

In sala un balletto tra presente e passato, l’olio su tela ClearhistoricXL (2024) di Kelsey Isaacs, un assemblaggio di multipli partendo da set fotografici allestiti e illuminati all’interno del suo studio, che esplorano superficie memoria e luce come fossero nature morte, cui fanno da contraltare i manufatti della collezione Koelliker, multipli sparsi, senza ordine definito, giocano con lo spazio e con ciò che gli sta accanto.
Una ceramica smaltata e vetro fuso, Dew Drops on Crescent Cave (2023), Heidi Lau propone una forma ambigua, un’entità zoomorfa, che avvolge una rovina ricoperta di vegetazione e strutture coralline. Poco più in alto un vero ramo di corallo, classico pezzo da Wunderkammer, rimanda al suo significato magico e religioso, dai tempi antichi fino al Rinascimento: antiveleno e amuleto dei marinai, nella tradizione cristiana, l’albero del corallo evoca quello della Croce e il sacrificio di Cristo. In questa ricerca di atemporalità Urvasi e Gilgamesh di Gino De Dominicis invita alla riflessione, alla continua e tenace ricerca dell’immortalità.


L’ultima parete celebra gesti colori e interpretazione, con Blindness, Blossom and Desertification IX (2024), tecnica mista su cotone grezzo di Monia Ben Hamouda, spezie, polveri di ibisco, cenere, carbone, argilla rossa, paprika e terra, diventano riferimenti segni gesti. L’abilità della sua tecnica richiama l’arte della calligrafia, in cui lo scrittore tiene una pagina bianca accanto all’opera come superficie per “scaldare la mano.” Chiude la mostra, il Ritratto di Umanista, un dipinto ad olio su tela attribuito a Lorenzo Lotto.
Giovanna Manzotti che ha curato la mostra, ci racconta l’esperienza di una curatela particolare, due collezioni dal carattere diverso in cui riconoscere la stessa sofisticata interpretazione dell’arte. Una forma intima, in una stanza intima in cui tutto viene riconciliato, astratto, universalizzato, attraverso un linguaggio senza riferimenti temporali o geografici: «Ogni giustapposizione mette in crisi la logica delle categorie predefinite. Superando le distinzioni tra antico e contemporaneo, tra manufatto e immagine, tra oggetto e simbolo, Cabinet invita così ad un esercizio di immaginazione e di ascolto, riconoscendo la vitalità nascosta nei processi e nelle cose».
















