26 aprile 2023

Da Carrà a Turrell: al Mart di Rovereto Giotto e il Novecento

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La presenza di Giotto si sente in Carlo Carrà, Mario Sironi, Arturo Martini, arrivando fino alla cifra allusiva di Matisse, alla trasposizione intellettuale di Melotti e Fontana, all’astrazione di Albers, Rothko e Klein

Giotto e il Novecento. Exhibition view, Mart, Rovereto. Ph Mart

“Giotto e Il Novecento”, da un’idea di Vittorio Sgarbi e a cura di Alessandra Tiddia, porta al Mart di Rovereto quello spirito della contemporaneità che dal Trecento ha influenzato e contaminato ben due terzi dell’arte novecentesca. 

Giotto e il Novecento. Exhibition view, Mart, Rovereto. Ph Mart

Dagli spunti di Alessandro Puppo (lo scritto pubblicato nel 2012 su Giotto, Rimbaud e Paolo Uccello in relazione a Carlo Carrà) e di Stefan Weppelmann e Gerhard Wolf (curatori nel 2009 di una mostra dedicata al confronto fra Rothko e Giotto), ha preso forma la volontà di indagare il rapporto tra il Maestro trecentesco e il ‘900 estendendo la ricerca relazionale oltre i limiti temporali dei primi decenni del secolo. A partire da Carlo Carrà, di cui il Mart possiede l’Archivio che conserva numerosi interventi su Giotto – e grazie al deposito VAF, nella collezione sono presenti capolavori come Le figlie di Loth – l’influenza di Giotto si è tradotta in programmatica dichiarazione di intenti come in Sironi, Rothko, Matisse e Klein, o in comprensione dei valori formali plastici e cromatici come nel lavoro di Joseph Albers, Tacita Dean, Chiara Dynys e James Turrell. 

Henri Matisse, Icaro, Tavola VIII del libro Jazz, 1947, Biblioteca della Fondazione Cariparma – Donazione Corrado Mingardi, Busseto

Antiteticamente allo scarto storico tra passato e presente, che spesso impedisce di tradurre le opere d’arte col nostro sguardo contemporaneo, la linea di ricerca del Mart e, nel particolare, la mostra “Giotto e il Novecento”, sollecitano il ricordo di uno studio di Ginzburg su Giotto che esplicita la difficoltà dovuta a questo scarto fondandone il paradigma e anche la condizione di possibilità. Non possiamo che reinterpretare il passato con gli occhi del presente. Non possiamo astrarci dal presente, dal suo modo di vedere, pensare e rappresentare: il passato dev’essere tradotto nell’oggi per poterlo rendere comprensibile.

La mostra inizia con un’installazione immersiva all’interno della quale gli affreschi della Cappella degli Scrovegni di Padova sono evocati per mezzo di una proiezione realizzata in collaborazione con il Museo degli Eremitani e l’Università di Padova. Respirando un fascino senza tempo, lo stesso che idealmente hanno respirato tutti gli artisti del passato più antico e del tempo più recente, il percorso espositivo si dischiude attraverso il mito di Giotto. 

Giotto e il Novecento. Exhibition view, Mart, Rovereto. Ph Mart

Seguendo un ordine cronologico e tematico è possibile incontrare nelle sale oltre duecento opere – di cui una cinquantina proveniente dal patrimonio del Mart – di grandi autori e autrici del XX e XXI suddivisi in sette sezioni tematiche. Nella prima parte di mostra, dedicata a Metafisica, Valori Plastici, Realismo magico e rinascita della pittura murale sono esposti i dipinti di Carlo Carrà, le pitture murali di Mario Sironi, le soluzioni plastiche di Arturo Martini, gli spazi sospesi di Giorgio de Chirico, insieme a opere di Gino Severini, Massimo Campigli, Achille Funi, Ubaldo Oppi. Si prosegue tra Atmosfere rurali e Sacre Maternità con soggetti bucolici e figure femminili che esprimono quel richiamo e quell’idealizzazione della tradizione tipica del periodo tra le due grandi guerre. Ne sono rappresentanti esposti Albin Egger-Lienz, Ardengo Soffici, Pompeo Borra e Tullio Garbari.

La suggestione della pittura di Giotto, che si riconosce anche nelle opere della seconda metà del Novecento, caratterizzate da un linguaggio figurativo oppure astratto, si incontra in mostra nei lavori di Gastone Celada e Lorenzo Bonechi, nella sintesi formale e pura di Fausto Melotti, nelle geometrie senza tempo di Giorgio Morandi e nella pittura astratta di Giorgio Griffa e di Serge Poliakoff. Le loro opere introducono a una pittura che ha abbandonato le forme della realtà senza aver smesso di trarre ispirazione dall’arte antica. In particolare i colori diluiti che impregnano le tele di Griffa sono il frutto di una riflessione sulla tradizione dell’affresco.

Giorgio Morandi, Natura morta, 1960, Mart, Collezione privata

Non solo in Europa ma anche oltreoceano molti artisti hanno riconosciuto in Giotto un ispiratore assoluto. Per qualcuno fu il suo colore blu, non mera tinta ma spazio ultraterreno, come Henri Matisse, Yves Klein e Lucio Fontana. Per altri fu la sua spazialità, che si ritrova nelle campiture sfumate di Mark Rothko e nei quadrati di Josef Albers. Di un dialogo con il maestro trecentesco sono interlocutori anche Chiara Dynys, Tacita Dean e James Turrell. Il processo di tattilità del colore di Giotto trova la sua massima espressione nell’installazione immersiva Tycho Blue – una stanza di puro e luminoso blu che si solidifica in una potenzialità luminosa che avvolge chiunque la percepisca – realizzata a partire dai progetti dell’artista del 1969 e mai più riallestita – di Turrell: «Non mi ha mai interessato dipingere la luce, ma utilizzarla come strumento percettivo. Credo che la luce sia una sostanza forte e potente, ma la sua potenza l’ho trasformata in un’esperienza». 

Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1956, Mart, Collezione Domenico Talamoni

«[…] faccio ritorno a forme primitive, concrete, mi sento un Giotto dei miei tempi», scrisse Carrà. «E sopra tutto metto Giotto», certificò Mario Sironi. «In Giotto il senso architettonico raggiunge spazi metafisici», furono le parole di Giorgio De Chirico. «Quando vedo gli affreschi di Giotto […] percepisco immediatamente il sentimento che ne emerge, perché è nelle linee, nella composizione, nel colore», disse Henri Matisse. «Che cos’è il blu? È l’invisibile diventato visibile», sentenziò Yves Klein. «Il colore di Giotto produceva lo straordinario effetto della sua tattilità» affermò Mark Rothko. 

Tornando a Ginzburg, secondo lui nella diversità tra lo ieri e l’oggi lo scarto storico si presentifica. Non è dunque tramite l’aderenza del punto di vista o il disfarsi delle nostre conoscenze che il passato ci può parlare bensì solo attraverso gli occhi del presente. “Giotto e il Novecento” ha questo straordinario potere, svelarci – nella differenza di prospettive – la virtù giottesca. 

Giotto e il Novecento. Exhibition view, Mart, Rovereto. Ph Mart

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