17 ottobre 2019

De Chirico, antimoderno e contemporaneo a Milano

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Milano celebra, a Palazzo Reale, il “pictor optimus” che rappresenta il dogma della pittura metafisica, antimoderna ma contemporanea

Giorgio de Chirico, Le muse inquietanti, 1925
Giorgio de Chirico, Le muse inquietanti, 1925

A Palazzo Reale a Milano, passato e presente s’immobilizzano in cento capolavori dipinti dal Pictor optimus Giorgio de Chirico (1888-1978), l’artista che rappresenta il dogma della pittura metafisica, antimoderna ma contemporanea.

Cento opere provenienti da cinquanta musei e collezioni private, in cui coesistono l’età classica, il Rinascimento e le avanguardie del primo Novecento, l’ironia e il mistero. Per De Chirico l’enigma è l’opera.

La mostra retrospettiva “De Chirico” a cura di Luca Massimo Barbero e promossa da Comune di Milano, Palazzo Reale Marsilio ed Electa, in collaborazione con Fondazione Giorgio e Isa De Chirico e Barcor 17, è suddivisa in otto sale ed è già un successo di pubblico e di critica, perché è semplicemente perfetta. Il viaggio nella pittura visionaria dell’artista nato a Volos, regione di Tessalia, in Grecia, terra di Ulisse e dei centauri, del mito e degli dei dell’Olimpo, erede di Nietzsche nelle riflessioni filosofiche riguardo al mistero dell’esistenza e del destino dell’uomo, va indagata con calma, perché ogni dipinto merita più di una vista, e come accade in un rebus, sono proprio i dettagli che sorprendono e trasfigurano la realtà.

De Chirico, vista della mostra, foto Lorenzo Palmieri
De Chirico, vista della mostra, foto Lorenzo Palmieri

Questa mostra è tra le poche con le pareti bianche come il marmo dei templi classici, e non scure o colorate come si vede negli allestimenti espostivi degli ultimi tempi, e tale chiarezza valorizza forme, colori, fughe prospettiche estreme, dettagli compositivi geometrici insiti nelle opere esposte.

La prima retrospettiva italiana dedicata al grande maestro fu ospitata a Palazzo Reale nel 1970, quando le avanguardie cercavano di andare oltre la pittura e sperimentavano linguaggi nuovi e De Chirico, idolatrato da alcuni, detestato da altri, come allora anche in questa retrospettiva rispecchia la sua irrequietezza di spirito errante destinato a una esistenza di frontiera.

Dalla Grecia De Chirico infatti va in Germania, raggiunge Monaco di Baviera, Milano e poi Ferrara, dove conosce De Pisis e Carrà, New York, di nuovo Milano, Firenze (dove dipinge la prima piazza Metafisica), e a Parigi scopre la sua dimensione ideale, si confronta con le avanguardie e frequenta Guillaume Apollinaire, Max Jacob, Picasso e altri protagonisti dell’epoca.

De Chirico, vista della mostra, foto Lorenzo Palmieri
De Chirico, vista della mostra, foto Lorenzo Palmieri

L’intellettuale De Chirico è “tutto” lì nelle sue opere, scatole della memoria, con i suoi inganni visivi e paradossi, dalle complesse problematiche filosofiche e concettuali, con la sua straniante vena immaginifica, e il suo metalinguaggio è sempre contemporaneo. Di lui Cocteau scrisse “pittore accurato prende in prestito dal sogno l’esattezza dell’inesattezza, l’uso del vero per promuovere il falso”, e come dargli torto? La mostra inscena inganni ottici, suspense visive, si confronta con le nuove generazioni, evita l’ordine cronologico per seguire un accostamento tematico, formale e compositivo, in cui i luoghi dell’erranza sono i protagonisti, e il mistero è il regista. E se, come ha scritto lapidaria, Ester Coen “Picasso smonta per riassemblare, De Chirico assembla per smontare”, passeggiando di sala in sala a Palazzo Reale tra le opere illuminate da una luce calda, si intuisce che l’enigma nelle sue opere non è il punto di arrivo bensì una eterna partenza per avventurare lo sguardo dentro luoghi immaginari, piazze d’Italia inquietanti popolati da presenze misteriose, da Arianne dormienti, bagnanti sensuali, centauri, gladiatori, manichini, cavalli al galoppo su spiagge immobili, in bilico tra citazioni classiche e architetture del Novecento, torri-ciminiere totemiche e locomotive colte in falso movimento, come viatico di modernità, o interni ed esterni colmi di oggetti spiazzanti, che rispecchiano il suo universo visivo colto e raffinato.

Attenzione dunque, anche là dove falso, vero e verosimile si sovrappongono e vi sembra di aver visto tutto: ritornate a guardare l’opera, dalla definizione scenico figurativa affascinate e contorni definiti, perché c’è sempre l’inatteso di un enigma che appare e di sicuro vi è sfuggito qualcosa. Questa mostra non affastella quadri, al contrario li isola uno ad uno, o li mette in coppia, crea pause, vuoti bianchi, tra un immagine e l’altra, privilegia lo sguardo, rinnova la nostra visione di opere fin troppo note, supera i limiti del kitsch di alcuni dettagli per evidenziare l’indiscutibile abilità pittorica di De Chirico.

Il percorso dentro il suo sguardo metafisico e irrequieto incomincia con La partenza degli Argonauti (1909), dipinto a Milano, metafora del viaggio intrapreso dai fratelli De Chirico quando lasciarono la Tessaglia dopo la morte del padre ingegnere siciliano, che in Grecia aveva progettato la ferrovia del Pelion.

Da lì, in fila, una sequenza incantevole di capolavori, da l’inedito Lotta di centauri (1909), davvero barocco e sanguinolento, al suo ritratto (1911) coronato dal cartiglio latino “Cosa amerò se non l’enigma?”. Tra le altre opere spicca l’autoritratto del 1912-13, di profilo giovane, ben vestito, con una bocca fin troppo rossa, stagliato contro una finestra che inquadra un paesaggio già metafisico, nel quale si vede una porzione di torre, che diventerà ricorrente nei dipinti del maestro.

De Chirico, vista della mostra, foto Lorenzo Palmieri
De Chirico, vista della mostra, foto Lorenzo Palmieri

L’atmosfera dechirichiana è tangibile in La matinée Angoissante (1912), del periodo premetafisico. La mattina angosciosa di De Chirico è romanticamente struggente, nella sua riflessione moderna sulle ombre del tempo, nella silhouette nera del treno che avanza immobile, dipinto con geometrico distacco. L’opera giovanile presenta già tutti gli elementi della Metafisica, con le originali fughe prospettiche, fino all’ultimo Orfeo trovatore stanco (1970), un manichino stremato dal tempo che abbandona la cetra sicuro di aver terminato la sua missione di cantastorie di saghe mortali.

La sezione dedicata alla Metafisica ci porta nell’enigma delle Piazze d’Italia, dipinte negli anni’10 del Novecento a Parigi e replicate con variazioni successivamente. Guarda oltre una nuova forma di classicismo che supera il vocabolario della Metafisica, con quadri nel quadro del periodo ferrarese, come dimostra l’opera Interno metafisico con faro (1918), De Chirico gioca con il trompe l’oeil, soluzione compositiva adottata poi da Giulio Paolini. Il centro focale della tela ruota introno intorno al faro di Genova, città di nascita della madre, e si vede il mare increspato e le nubi nere all’orizzonte lasciano intuire una imminente tempesta. Questa inquadratura, simile a un castello kafkiano, è a sua volta inquadrata dalla stanza che, con le sue pareti verdi, inscena un’atmosfera claustrofobica.

Spiazza il Pomeriggio soave (1916), con biscotti trattati come elementi compositivi minimalisti. Non poteva mancare Il figliol prodigo (1922), manichino metafisico che abbraccia un marmoreo signore ottocentesco, dipinto caratterizzato da colori contrastanti che evidenziano il vigore del figlio e la staticità del padre, opera volta alla rappresentazione del tema dell’eterno ritorno come atto simbolico di riconciliazione con il classicismo, che riassume l’iconografia dechirichiana. Questo celebre dipinto è custodito nel Museo del Novecento a Milano, ed era stato scelto come copertina del catalogo della mostra del 1970.

De Chirico, vista della mostra, foto Lorenzo Palmieri
De Chirico, vista della mostra, foto Lorenzo Palmieri

Oltre ad altri capolavori degli anni Venti, le opere dedicate ai Gladiatori, in mostra si trovano tre esemplari di Muse Inquietanti, Bagni Misteriosi (1934), è il dipinto affascinate che apre la serie dedicata a questo conturbante tema, ricorrente e longevo nella carriera di De Chirico, proposto sottoforma di litografie, che nel 1973 diventa tridimensionale grazie alla fontana realizzata a Milano in occasione della XV Triennale di Milano, oggi restaurata, segno di un’ arte partecipata, aperta anche ai cittadini.

La sala degli autoritratti, De Chirico ne ha dipinti cento, rivela l’inquietante narcisismo del genio ironico e magniloquente, tra gli altri è esilarante quello dell’artista nei costumi di un torero. Chiude la mostra la carta da parati di Andy Warhol, ladro per eccellenza di immagini pop, che ha lavorato sulle icone, Leonardo da Vinci incluso. Un consiglio ai più giovani, fotografate con lo smartphone le opere che vi attirano, poi con calma riguardatele, ingrandite i dettagli e vedrete che nulla è come sembra e il sabotaggio delle regole prospettiche è in agguato.

Il catalogo della mostra è edito da Marsilio Electa, a cura di Luca Massimo Barbero.

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