28 gennaio 2023

Forma delle parole, mistero dell’esistenza: Stefano Mario Zatti in mostra da Atipografia

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Ad Arzignano, in provincia di Vicenza, negli spazi di Atipografia, va in scena “La forma delle parole”, mostra di Stefano Mario Zatti che ci fa esplorare il mistero dell’esistenza

Stefano Mario Zatti, La forma delle parole, Atipografia, Arzignano, veduta della mostra, foto di Luca Peruzzi

Adagiata nella valle del torrente Chiampo nella zona dei Monti Lessini e abitata dai              tempi dei Romani,  se non prima, Arzignano, cittadina a circa 20 chilometri dal capoluogo Vicenza, si è arricchita di una preziosa chicca grazie all’adeguamento funzionale (compiuto con elegante rigore capace di coniugare natura e architettura da AMAA, uno Studio – noto a livello internazionale – del territorio) dei due piani dell’antica tipografia attiva fino a qualche lustro fa e fondata nell’Ottocento dal trisavolo di Elena Dal Molin, attenta, entusiasta e sensibile sostenitrice delle arti.

Nel 2014, infatti, è stata lei l’anima di ATIPOGRAFIA, Associazione culturale no-profit per residenze d’artista e progetti site-specific, attività dagli esiti positivi alla quale da maggio 2022 si affianca una Galleria d’Arte Contemporanea dove esporre lavori di artisti (italiani e non) per incrementare l’offerta culturale di un territorio non centrale che però sa riconoscerne il valore, ora che ha raggiunto un buon livello socioeconomico.

Anche se la lettera A aggiunta a tipografia significa letteralmente fine di quella attività, in questo caso suggerisce una sorta di continuità pur nel parziale cambio di destinazione grazie anche allo spirito che ancora aleggia, invisibile eppure percepibile, quasi un’aura pregna di saperi e vite, capace di accogliere e presentare i vari artisti che vi si avvicendano, sicuramente fortunati perché fruiscono di rapporti non costruiti o artefatti, ma pregnanti e forieri di arricchimenti reciproci.

Stefano Mario Zatti, La forma delle parole, Atipografia, Arzignano, veduta della mostra, foto di Luca Peruzzi

Restano dopo la visita una sensazione di serenità e a rendere più forte questa emozione il ricordo della qualità dell’artista che si palesa anche attraverso un particolare uso della scrittura. Padovano di nascita (1983), Stefano Mario Zatti con “La forma delle parole”, (fino al 26 febbraio 2023) si presenta con riservata discrezione incuriosendo man mano l’interlocutore.

Dopo il Liceo Scientifico e l’Accademia di Belle Arti frequentata a Venezia (foriera di infiniti stimoli), vive e lavora tra Padova, la provincia di Venezia e il Cadore e si dedica a un continuo e meditato approfondimento testimoniato anche da alcuni quadernetti con incantevoli appunti-meditazioni alla Leonardo (quanti hanno la pazienza di dedicarsi a tale encomiabile pratica!?). In questi compare la “figura” che invece non è presente nel suo percorso artistico in cui sposa la spiritualità orientale che tende più all’ascetismo rispetto a quella occidentale: non a caso l’iconoclastia (distruzione delle immagini sacre) nasce nei secoli VIII e IX nel mondo cristiano bizantino e non nell’Europa dell’ovest, così come Ebrei e Islamici sono aniconici in quanto vietano di raffigurare il volto umano e quello divino.

Stefano Mario Zatti, La forma delle parole, Atipografia, Arzignano, veduta della mostra, foto di Luca Peruzzi

L’artista esprime la sua poetica vergando parole che fluiscono su vari materiali come segni concreti che raccontano la spiritualità dell’uomo, dei popoli e delle civiltà con raffinato lirismo come nell’Apocalisse di Adamo che la rivela al figlio Seth facendo riferimento continuo all’acqua: la scrittura di Zatti evoca La grande onda di Kanagawa (1830-1831), splendida xilografia di Hokusai.

Un filone, quello della scrittura, che si dispiega in numerosi e affascinanti aspetti come il Libro della vita, opera per sua natura in fieri comprendente a oggi 7200 nomi propri di persona finora trovati e quindi aperta a nuovi inserimenti: scrittura che connota l’esistere di ciascuno. Singolare il fatto che avvicinatami per leggere sia riuscita a identificare per primo il nome di un poeta latino amatissimo: Orazio. Legami sottili fra varie strade, segni che s’incrociano anche nelle forme: Zatti nel Libro della vita e nella Ruota di preghiera utilizza la forma del rotolo, antico formato del libro sostituito nel IV e V secolo dal codice salvo che nella Torah, libro sacro dell’ebraismo.

Stefano Mario Zatti, La forma delle parole, Atipografia, Arzignano, veduta della mostra, foto di Luca Peruzzi

Una semiologia che l’artista estende anche alla natura in grado di lasciare la sua impronta su teli bianchi da lui disseminati in luoghi scelti ad hoc e coperti parzialmente da una pietra locale (né asportata né mutata di posizione) che li protegga durante il “vivere assieme” a volte per anni: in tale modo nascono le Sindoni per la cui creazione l’artista compie nel territorio percorsi che memorizza meticolosamente in Mappe, frutto quindi di una “memoria geografica” e caratterizzate da leggeri tratti d’inchiostro su carta, comparabili ai passi compiuti, un invito a passeggiare nella natura per meditare su come anche la physis “scriva” la sua impronta.

Non c’è quindi da stupirsi che stanti le  premesse Zatti abbia subito il fascino della scrittura islamica come in 99 Nomi (virtù di Allah perché gli uomini comprendano con linguaggio terreno l’incommensurabilità di Dio): una calligrafia  che nelle sue molteplici espressioni estetiche  di immagini spirituali (di ispirazione coranica) trascendenti la forma della parola diviene nella sua purezza geometrica ponte tra il divino e l’umano confermando il pensiero di molti antropologi i quali  ritengono che l’umanità dalla sua comparsa sia assetata di trascendente, un istinto naturale che assume varie sfaccettature a seconda del periodo e del grado di civiltà.

Stefano Mario Zatti, La forma delle parole, Atipografia, Arzignano, veduta della mostra, foto di Luca Peruzzi

Non può che esserci incanto nella scrittura di Zatti che attraverso un percorso esistenziale e artistico connotato da una lenta e costante meditazione compie una propria analisi dell’essere e dell’esistere approfondendo contenuti e pensieri e sublimandoli in simboli che non sono solo scrittura, disegni geometrici o ricerca dell’impronta della natura su di noi e sui nostri oggetti, ma traduzione di emozioni profonde e in particolare dell’estatica meraviglia di fronte al nascere.

Paradigmatica al riguardo Sangue del mio sangue, opera che traduce questo entusiasmo che supera il nostro piccolo mondo creando una galassia di 380mila piccole gocce rosse con al centro una più grande: è Miriam Celeste, la figlia (che ‘scrive’ l’impronta del proprio dito con il sangue del padre)  dell’artista tra i 380mila bimbi (nati il 1 dicembre 2014)  che portano una nuova luce; una galassia che passando dal macrocosmo al microcosmo potrebbe essere un elfo o un’anima della natura che insieme a Zatti e a tutti nuota nel mare “infinito” dell’esistere alla ricerca di “essere” e non di “apparire”.

Stefano Mario Zatti, La forma delle parole, Atipografia, Arzignano, veduta della mostra, foto di Luca Peruzzi

Si osservino quindi i diversi lavori – senza trascurare l’originale testo (con foto di Luca Peruzzi) relativo a Zatti, concepito come espressione della sinergia tra l’artista, i curatori della mostra (Robert C. Phillips e Matilde Nuzzo) e la gallerista – con tranquilla calma e non con sguardo frettoloso per trarne suggestioni personali e scoprire un artista che percorre un suo cammino senza orpelli o finzioni.

Per le ottime singolarità e la capacità di indagare il creato meditando su diverse religioni le opere di Zatti sono sempre più apprezzate nelle diverse manifestazioni, mentre crescono i suoi estimatori tra i collezionisti, anche stranieri, in particolare in Svizzera dove si trovano alcuni suoi lavori.

Stefano Mario Zatti, La forma delle parole, Atipografia, Arzignano, veduta della mostra, foto di Luca Peruzzi

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