15 ottobre 2025

Giacomo Balla: l’universo della luce e il tempo della modernità

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A Parma, nelle sale solenni del Palazzo del Governatore, la luce torna a farsi materia con la mostra “Giacomo Balla. Un universo di luce”

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Giacomo Balla. Un universo di luce. Ph Marco Vasini

«La luce non è un attributo, ma un essere che si fa carne nell’opera» — potremmo parafrasare così il cuore pulsante della grande retrospettiva che dal 10 ottobre 2025 al 1° febbraio 2026 accoglie a Parma l’intera collezione balliana della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Oltre sessanta opere — dipinti e disegni — riunite fuori dalla loro sede originaria per la prima volta, in un project ambitissimo che si staglia come momento di riferimento per la scena artistica italiana contemporanea.

La scelta curatoriale — affidata a Cesare Biasini Selvaggi e Renata Cristina Mazzantini, con la collaborazione di Elena Gigli — si misura sin dall’allestimento con l’enorme responsabilità di dare forma a un corpus omogeneo eppure stratificato. Il progetto non si limita a mostrare, ma lavora di svelamento: recupera opere spesso invisibili al pubblico e ricompone sviluppi, cadute e riprese di una traiettoria artistica che molti conoscono solo attraverso tappe programmate del futurismo.

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Giacomo Balla. Un universo di luce. Ph Marco Vasini

L’articolazione in tredici sale, con un ordine tematico e una scansione cronologica, è capace di dialogare con la spazialità severa eppure calda di Palazzo del Governatore, innescando quella tensione dinamica che Balla mirava a tradurre in pittura. Un’attenzione particolare ai retri delle tele, alle annotazioni nascoste e alle prove tecniche, rende il percorso non solo visivo ma investigativo: in certi casi il retro delle opere si trasforma in un archivio parallelo, in un “dietro le quinte” della genesi pittorica.

Luce prima della forma: dal divisionismo alle “Compenetrazioni iridescenti”

L’itinerario si apre con Nello specchio (1901‑1902), un’opera che mostra subito il desiderio di un’arte che non sia mera imitazione del visibile, ma traduzione dell’intensità luminosa. È rivelatore che Puccini — vedendola — esclamasse: «Questa è la mia Bohème». Balla, lungi dal cercare l’incauto patto con la fama, preferì destinare l’opera allo Stato. Segue la stagione del realismo sociale e del Polittico dei viventi, un ciclo che emerge dagli archivi dell’artista grazie al contributo dello studioso Maurizio Fagiolo dell’Arco. Pur se sopravvivono solo quattro versioni — La pazza, I malati (o Prime cure elettriche), Il contadino e Il mendicante — la loro forza, la loro carica espressiva resta intensa e misteriosa. In La pazza, la gestualità convulsa, lo sguardo perduto, l’assenza di gerarchia spaziale concorrono a una rappresentazione del disagio esistenziale e psicologico che è già oltre l’oggetto visivo: è una presenza instabile, vibrante, esposta allo sguardo dello spettatore.

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Giacomo Balla, Dei Viventi; La pazza, 1905, olio su tela, cm 174,7 x 115. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea © Giacomo Balla, by SIAE 2025

È dall’esperienza del disegno che si sviluppano poi i passaggi più radicali: lo Studio per Fallimento (ca. 1902) — guardato da Enrico Crispolti come anticipatore delle litografie urbane di Dubuffet — e il ciclo delle Compenetrazioni iridescenti (1912) segnano il salto verso l’astrazione ottico‑dinamica. In questi momenti la luce non è più rappresentata ma resa in atto, in vibrazione: non “illuminazione” ma intensità pura, scomposizione e ricomposizione del visibile. Si apre così la stagione futurista: linee-forza, velocità, dinamismo urbano diventano materia visiva e semantica. Opere come Espansione dinamica + velocità n. 9 e il disegno Linea di velocità + spazio testimoniano quanto Balla abbia saputo coniugare lo slancio del movimento con una raffinata sensibilità costruttiva. Un passaggio particolarmente affascinante è offerto dall’intervento radiografico su Forme-volume del grido ‘Viva l’Italia’ (1915). La rivelazione di una sagoma femminile nella composizione mostra come Balla abbia stratificato tracce, pentimenti, intenzioni mai del tutto cancellate. Non è semplice “ritocco”, ma stratificazione di tempo, memoria, implicazioni soggettive.

Giacomo Balla, La fila per l’agnello, inverno 1942, olio su compensato, cm 90 x 67,2. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea © Giacomo Balla, by SIAE 2025

Oltre il mito futurista: la figurazione tardiva e il respiro contemporaneo

Molti critici hanno confinato Balla in quella stagione epocale del futurismo. Questa mostra offre invece una lettura estesa: l’ultima parte del percorso è dedicata alla sua produzione figurativa del dopoguerra, meno nota eppure essenziale. Opere come *La fila per l’agnello* (inverno 1942) diventano punto di contatto tra la condizione quotidiana e la dimensione della testimonianza: Balla osserva Roma in guerra, le lunghe file per il pane, le ferite sociali, e lo fa con uno sguardo che mescola la memoria, il documento e il codice estetico di una sensibilità che non tace. È una figura che non rinuncia mai alla luce come principio formale: dalle atmosfere sospese dei ritratti tardivi alla tensione delle superfici cromatiche, ogni quadro contiene il residuo della lezione futurista, ma rivisitata, interrogata, filtrata attraverso un’esperienza vissuta, consapevole del trauma e della storia. È in questo intreccio che Balla si rileva interprete non soltanto del tempo della modernità, ma della memoria moderna.

Giacomo Balla, Espansione dinamica + velocità N. 9, 1913 circa, olio su carta su tela, cm 64 x 107,2
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea © Giacomo Balla, by SIAE 2025

Luci e ombre di una mostra ambiziosa

La grande forza di questa retrospettiva sta nel recupero del “corpus nascosto”. Molte opere, sottoutilizzate fino ad oggi, acquisiscono finalmente rilievo pubblico. Il rischio, intrinseco a ogni mostra antologica, è la dispersione del tema. Invece la non banale scansione tematico-critica riesce a suggerire un filo sotterraneo: la luce come agente dinamico, come figurazione del tempo, come presenza in divenire. Non mancano tuttavia momenti in cui la materialità delle superfici — la differenza fra olio, tempera, tecnica mista o grafo — avrebbe potuto essere valorizzata ancor più da scelte espositive più incisive. Su questo piano, l’allestimento — pur attento — mostra talvolta la sua dualità: artefatto scenico e sistema museale in tensione. Infine, la mostra compie un atto di resistenza rispetto alla riduzione “iconografica” del futurismo: recupera un artista che è stato spesso ingabbiato nel mito della velocità, e lo restituisce come sperimentatore instancabile della luce, della percezione e del tempo. In questa operazione risiede il suo merito più alto: far uscire Balla dal santuario futurista per restituirlo al suo ruolo di figura cardine dell’arte moderna italiana.

Giacomo Balla. Un universo di luce. Ph Marco Vasini

Nel suo celebre Manifesto del Futurismo, Marinetti invocava «l’amore del pericolo, l’abitudine all’energia, la temerarietà». Balla raccolse quell’eredità, ma la tradusse in poesia visiva: non l’atto temerario puro, ma il canto particellare della luce, dilatato nel tempo e nello spazio. Questa mostra parmense non celebra soltanto una straordinaria coesione di opere, ma restituisce a Balla il suo protagonismo critico e la sua attualità estetica. Che la luce sia materia, tempo, vibrazione dell’anima: a Parma, nel Palazzo del Governatore, possiamo vedere quel sogno realizzato. E uscire — come si conveniva a chi entra in una mostra del Novecento — con lo sguardo forse più sensibile, con un’ombra luminosa imposta nella memoria.

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