22 dicembre 2023

Giorgio de Chirico, riscoprire il mistero: la mostra da Tornabuoni, a Roma

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Una serie di opere di Giorgio de Chirico, tra pittura, scultura e disegno, per ripercorrere i temi più cari al maestro dell’arte metafisica e raccontare il suo legame con Roma: la mostra alla Galleria Tornabuoni

Giorgio de Chirico, Natura morta, 1930, olio su tela, 53,5 x 74 cm. Courtesy Tornabuoni Arte
Giorgio de Chirico, Natura morta, 1930, olio su tela, 53,5 x 74 cm. Courtesy Tornabuoni Arte

Fino al 24 febbraio 2024, la galleria Tornabuoni di Roma ospita una retrospettiva dedicata a un grande maestro della storia dell’arte: Giorgio de Chirico (Volos, Grecia, 1888 – Roma, 1978): in mostra una selezione di oltre 30 opere – tra pittura, scultura e disegno – che vanno dai primi anni del ‘900 fino agli anni ’60. L’obiettivo è restituire la quasi interezza delle fasi di produzione e dei temi più frequentemente affrontati dall’artista. Le opere sono tutte della galleria, a eccezione di tre prestiti da collezionisti privati – tra cui una mai esposta prima – e altrettanti prestiti dalla Collezione Roberto Casamonti di Firenze.

Giorgio de Chirico, Autoritratto come pittore in costume del Settecento, 1957 ca., olio su tela, cm 80 x 65. Courtesy Tornabuoni Arte

Varcare la soglia della nuova sede della galleria Tornabuoni a Roma significa entrare nel mondo di Giorgio de Chirico, ricostruito grazie a questa retrospettiva che mette l’accento sulla relazione del maestro con la città che l’ha ospitato dal ‘44 al ‘78: Roma, per l’appunto. Affascinato dalle rovine antiche ed in particolare dalla Scuola di Atene di Raffello nelle Stanze Vaticane, il Pictor optimus – come lui stesso amava firmarsi – decise di trasferirsi nella casa-studio di Piazza di Spagna – oggi Fondazione Giorgio e Isa de Chirico – conquistando così una posizione strategica nel cuore della città.

Il percorso espositivo comincia con la proiezione di diversi video che ripropongono una serie di interviste a de Chirico, tra le quali quella a cura di Franco Simongini, andata in onda nel ‘73 durante la trasmissione RAI Come nasce un’opera d’arte. In questa occasione de Chirico dipinse Il sole sul cavalletto, un’opera che faceva parte di Soli spenti, una serie iniziata dall’artista nel 1930 con delle litografie intese a illustrare i poemi di Guillaume Apollinaire. Proseguendo la visita ci si imbatte in una parete in cui sono riportate due citazioni dello stesso de Chirico: la prima è tratta dalle sue Memorie – in cui Roma viene definita “centro del mondo” – mentre la seconda è tratta dal suo Discorso sullo spettacolo teatrale del ’42, in cui l’artista afferma che l’uomo tende ad amare la finzione «Perché si può soddisfare il bisogno di cose fantastiche e di sfuggire a questa realtà».

Seguendo un ordine cronologico, la mostra si apre con un meraviglioso olio su tela del 1909 intitolato La passeggiata (o il Tempio di Apollo a Delphi) proveniente dalla Collezione Roberto Casamonti, aperta al pubblico nel 2018 a Palazzo Bartolini Salimbeni a Firenze. Siamo nel periodo in cui de Chirico è a Monaco di Baviera con il fratello per frequentare l’Accademia di Belle Arti. In questi anni l’artista si dedica allo studio di Arnold Böcklin e di Max Klinger, ma anche alla lettura di Friedrich Nietzsche, di Arthur Schopenhauer e di Otto Weininger, dipingendo quadri di chiara influenza böckliniana. Da questo quadro emerge una sintesi ben calibrata tra romanticismo e simbolismo che lascia spazio a figure intente a compiere una passeggiata assimilabile piuttosto ad un percorso di iniziazione; inoltre, a fare da sfondo all’intera composizione pittorica, una natura misterica tutta da esplorare.

Una “menzione speciale” va all’Autoritratto con pipa di gesso (1914-15), esposto al pubblico per la prima volta in assoluto, nonostante la sua storia bibliografica sia molto ricca. Il quadro è sempre appartenuto alla famiglia di de Chirico. Si tratta di un olio su tela riportato su un’altra tela per salvarlo dall’usura, poiché, durante la guerra, la madre dell’artista era solita portarlo sempre con sé per conservare nella mente il ricordo e l’immagine del figlio. Pertanto, con quest’opera si entra in una sfera intima e personale che arriva nel profondo dell’anima di chiunque coglierà l’opportunità di vederlo.

Invece, a due dipinti è affidato il compito di indagare il tema del nudo femminile: il primo è del 1923, già nella collezione di Alberto Savinio ed esposto alla XIII Quadriennale di Roma del 1998; il secondo, invece, risale al 1930 e ritrae Cornelia Silbermann, conosciuta da de Chirico a Parigi nell’agosto del ’29 e da allora diventata la sua musa.

Invece, alla produzione degli anni Trenta appartengono Combattimento di gladiatori del ‘32 – anche questo parte della Collezione Roberto Casamonti a Firenze – e Cavalli in riva al mare del ’35, proveniente dalla collezione di Margherita Sarfatti, una delle prime donne in Italia ad occuparsi di pittura nel Novecento.

Giorgio de Chirico, Piazza d’Italia, anni ’50, olio su tela, cm 50×60. Courtesy Tornabuoni Arte

Nella sala centrale della galleria in via Bocca di Leone 88, a Roma, trovano spazio anche parecchie opere che rimandano al De Chirico più riconoscibile e iconico: quello dell’Ettore e Andromaca del ’50, quello delle Piazze d’Italia con piedistallo vuoto del ’55 e quello dei Bagni Misteriosi del ’68. In questa fase più matura della sua ricerca, de Chirico rielabora i soggetti degli anni Dieci, Venti e Trenta con colori più accesi ed atmosfere più serene rispetto a quelle più cupe della Metafisica. In particolare, i Bagni misteriosi nascono da una visione onirica, spiegata dall’artista stesso nel ‘73 con queste parole: «L’idea dei bagni misteriosi mi venne una volta che mi trovavo in una casa ove il pavimento era stato molto lucidato con la cera. Guardai un signore che camminava davanti a me e le di cui gambe riflettevano nel pavimento. Ebbi l’impressione che egli potesse affondare in quel pavimento, come in una piscina, che vi potesse muoversi e anche nuotare. Così immaginai delle strane piscine con uomini immersi in quella specie di acqua-parquet, che stavano fermi, e si muovevano, ed a volte si fermavano per conversare con altri uomini che stavano fuori della piscina pavimento».

Degno di nota è senza dubbio Ed ecco un gran drago, un disegno a matita su carta che consentì al maestro di uscire dai suoi confini pittorici più usuali, allo scopo di dare prova della sua vena più giocosa e fanciullesca. L’opera appartiene ad una serie di 40 disegni commissionati nel ‘40 a de Chirico da Raffaele Carrieri, per illustrare l’edizione di un volume a proposito dell’Apocalisse di Giovanni. L’artista interpreta le venti apparizioni dell’Apocalisse per mezzo di un dragone con sette teste coronate, la cui coda scompiglia le stelle nel cielo con una spontaneità sorprendente.

Giorgio de Chirico, Ettore e Andromaca, inizio anni Sessanta, olio su tela, 80 x 60 cm. Courtesy Tornabuoni Arte

La retrospettiva non poteva mancare di includere anche una grande scultura di De Chirico – sempre a soggetto Ettore e Andromaca – oltre a un arazzo che dimostra la notevole capacità dell’artista di spaziare da una tecnica all’altra. Il titolo dell’arazzo in esposizione alla galleria Tornabuoni è La conquista del filosofo e raffigura lo stesso soggetto del celebre dipinto ancora oggi custodito all’interno dell’Art Institute di Chicago. L’opera scaturì dalla collaborazione tra de Chirico e Ugo Scassa, titolare dell’omonima arazzeria di Asti. Purtroppo, l’artista morirà prima di portare a termine il progetto, ma se ne occuperà la vedova negli anni successivi.

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