20 aprile 2024

Il cinema per Fabio Mauri: la mostra alla Richard Saltoun di Roma

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La Richard Saltoun Gallery di Roma ospita la sua prima mostra dedicata a Fabio Mauri: in esposizione, una serie di opere dagli anni ’60 ai primi duemila, per esplorare le dimensioni dello schermo

La Richard Saltoun Gallery di Roma ha inaugurato la sua prima mostra dedicata a Fabio Mauri, a cura di Laura Cherubini e in collaborazione con Ivan Barlafante (Studio Fabio Mauri). La personale, dal titolo Il cinema per Fabio Mauri, non solo ruota intorno al multiforme cosmo del cinema, ma ci pone anche in una condizione intimista rispetto a uno degli interessi predominanti nella vita dell’autore. Secondo un andamento espositivo, la mostra riunisce le opere dell’artista dagli Anni Sessanta fino ai primi Duemila, tra film, sculture e installazioni.

«Fin dall’inizio il mondo mi è sembrato una grande, e solo parzialmente decifrata, proiezione. L’oggetto-simbolo di questo stato delle cose, di questo nostro essere di fronte alla realtà, è lo schermo. Lo schermo è ciò su cui l’uomo rappresenta figure e corpi, ma anche sentimenti e pensieri invisibili. Noi vediamo per schermi, attraverso una tecnologia che è quella del cinema, della fotografia ecc.», affermava Fabio Mauri, che poneva lo “schermo” al centro della sua indagine già dal 1957, rimanendone essenziale articolazione. Così, negli Anni Settanta Mauri si dedica a una sperimentazione inusuale sul cinema, attraverso la produzione di Proiezioni, che vede l’emanazione di film d’autore su supporti storici non convenzionali.

Come punto focale della mostra, in fondo alla sala, vi è l’installazione Rebibbia (2006), che consiste in una cassettiera rinvenuta nell’omonimo carcere romano. Gli sportelli in ferro, contenenti gli effetti personali dei detenuti, si susseguono come in un casellario vuoto che alterna nostalgia e redenzione. Alcuni appaiono chiusi, a simboleggiare le vite scomparse, altri rimangono semiaperti, a richiamare le vite trascorse, su cui Mauri proietta La ballata di un soldato, film di Grigorji Chukhraj, storia di un militare russo che ritorna in patria e dalla madre, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Le vicende della guerra e dei regimi, legate anche al luogo in cui è stato rinvenuto tale oggetto, quasi in senso documentaristico, non solo testimoniano un evento storico, ma ricreano una scatola d’emergenza che racchiude molteplici vitalità inquadrate in un sistema dal meccanismo fatale. Il senso mitologico dell’opera risiede nella personificazione del soldato con “l’eroe classico che torna ad Itaca dopo una serie di peripezie”, citando Bianca Lorusso; il senso letterario, invece, vive nella solitudine dell’uomo romantico, opposto e partecipe al “sublime caos” del circostante.

«Se analizziamo i film utilizzati da Mauri per le proiezioni, possiamo notare che molti sono di guerra. È importante comprendere che, da una parte, è estremamente interessante individuare i film usati nelle proiezioni; dall’altra, però, non è strettamente necessario capire di che film si tratta. Ciò che interessa a Mauri è soprattutto il meccanismo della proiezione, che è quello del pensiero stesso. Forse il linguaggio, come anche il cinema, è guerra. E tutto torna allo schermo per celebrare ancora e sempre il mito del cinema», spiega la curatrice.

Nel mezzo della galleria rompe la scena l’installazione Pittura, testimonianza di un dialogo continuo tra l’omonimo mezzo creativo e la potenzialità del suo riflettere. Essa consiste in una grande cinepresa d’epoca, che Mauri acquistò per rimodularne la funzione: qui è come se la pellicola assumesse il valore di “tela”. L’opera, che dal titolo sembrerebbe alludere a uno slogan pubblicitario, è stata pitturata secondo il paradosso originato dal suo nome.

A circoscrivere lo spazio, compaiono dieci piccoli disegni inediti, realizzati dall’autore tra il 1984 e il 1986, con una tecnica mista su carta. Sono dedicati al cinema, con i suoi sedili in pelle e le sue sale “interiori”. Poi, due Schermi del 1972, uno nero e uno bianco, una carta e una tela poste l’una di fronte l’altra. La prima è realizzata con scotch e carboncino, l’altra, estroflessa, vede l’uso della vernice. Qui, torna il concetto di slogan attraverso la scritta tedesca (trad. “all’interno del cinema”), come parola d’ordine pubblicitaria e politica.

Gli Schermi di Mauri in mostra sembrerebbero avere il ruolo di premonizione; fungono da veicolo “cieco”, rivolto all’uomo secondo una nuova lingua. Infine, la banda nera, ricorrente sui bordi delle sue creazioni, come omaggio al rullino e alla tecnologia tutta, per un’analisi orizzontale dell’esperienza del reale.

La mostra di Fabio Mauri alla Richard Saltoun Gallery di Roma sarà visitabile fino al 27 aprile 2024.

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