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Il Museo delle Civiltà di Roma ha aperto una mostra in forma di fiaba
Mostre
“Le fiabe sono vere”, scriveva Italo Calvino nella prefazione alle Fiabe italiane del 1956. Vere non perché raccontano fatti realmente accaduti, ma perché sanno restituire con forza simbolica paure, desideri e trasformazioni. È da questa intuizione che prende forma Le fiabe sono vere… Storia popolare italiana ospitato al MUCIV – Museo delle Civiltà di Roma e visitabile fino al 1° marzo 2026. Un progetto ambizioso, articolato e corale, curato da Massimo Osanna e Andrea Viliani insieme alle équipe della Direzione Generale Musei, dell’ICPI – Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale e del MUCIV, con la collaborazione di Cristiana Perrella e il progetto espositivo di Formafantasma.

Più che una semplice mostra, si tratta di un esperimento museografico che ridefinisce il museo come luogo inclusivo, partecipato e accessibile, non solo nella fruizione ma nella sua stessa concezione. Il cuore dell’allestimento sono le collezioni di Arti e Tradizioni Popolari rilette alla luce di una narrazione contemporanea e fluida, capace di coinvolgere ogni tipo di pubblico. La mostra è infatti pensata come un’unica fiaba originale – scritta per l’occasione dalla narratologa Elena Zagaglia, disponibile in versione audio, easy to read, CAA, LIS e ASL – divisa in 12 capitoli a cui corrispondono altrettante sezioni del percorso espositivo.

L’itinerario si snoda tra più di 500 opere fra cui maschere, giocattoli, attrezzi agricoli, amuleti, ex voto, veicoli di trasporto, strumenti musicali, fino a filmati e materiali d’archivio non più concepiti come semplici testimoni del passato, ma frammenti vivi di un immaginario condiviso che continua a parlarci. A intensificare l’esperienza è un allestimento che non lascia nulla al caso, costruito con minuziosa cura per ogni dettaglio. Le sezioni, pur ben distinte tematicamente, si susseguono senza interruzioni nette, creando un percorso fluido e organico, evitando la retorica delle cesure a favore di una narrazione continua. Da non sottovalutare è il ruolo che svolge l’illuminazione. I fasci di luce si attivano al passaggio dei visitatori, trasformando la fruizione in un gesto quasi teatrale, in cui ogni incontro si carica di intensità e sorpresa. Anche i filmati, lontani dal ruolo di semplici strumenti didattici, sono pensati come parte integrante del racconto, contribuendo a espandere l’immaginario e a moltiplicare i livelli di lettura delle collezioni.

Le fiabe sono vere… è soprattutto un laboratorio e work in progress sul futuro dell’accessibilità museale. Tutti gli strumenti di mediazione sono stati progettati per coinvolgere sensi, corpi e immaginari diversi, come ad esempio il percorso tattile con oggetti originali. Niente è pensato per un pubblico specifico, lasciando aperto l’invito all’esperienza, alla sperimentazione e alla scoperta. Non più semplice rimozione delle barriere, ma attivazione di possibilità.

Significativa è la scelta di collocare l’inizio e la fine della mostra in uno spazio ispirato alla piazza del paese, non solo figura simbolica dell’antropologia italiana, ma da sempre luogo di incontro e condivisione. Qui il pubblico è chiamato a contribuire con i propri racconti, oggetti e memorie alla costruzione di una “tradizione vivente” in tempo reale, anche grazie a un indirizzo mail dedicato. Il museo, in questo modo, si trasforma in una macchina narrativa aperta, che ascolta e restituisce, accoglie senza escludere, conserva senza cristallizzare.

Al di là del suo valore estetico e curatoriale, Le fiabe sono vere… si impone come una mostra manifesto, che interroga la funzione stessa del museo nel presente. Non solo luogo di conservazione e studio, ma spazio politico, relazionale e immaginativo. In un’epoca che fatica spesso a ricordare e fare i conti con il passato, questo percorso ci ricorda che memoria e immaginazione non sono opposti, ma alleati preziosi per vivere il presente con consapevolezza.

Chiara e inequivocabile è la percezione del lavoro collettivo che ha reso possibile tutto questo. Un progetto tanto stratificato e complesso poteva nascere solo dalla reale sinergia tra istituzioni e persone, competenze e visioni diverse. Nulla è lasciato al caso: ogni dettaglio, ogni passaggio, ogni esperienza è il frutto di un’attenzione palpabile, che fa sentire il visitatore accolto, compreso, accompagnato. In un momento in cui il museo rischia di essere percepito come luogo distante o elitario, questa mostra ci ricorda che la cultura può – e deve – essere una forma di cura. Per tutte e tutti.