-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
Portare per la prima volta in Italia una retrospettiva dedicata a Mao Xuhui non significa semplicemente colmare una lacuna espositiva, ma aprire uno spazio di lettura sulla storia recente della Cina a partire da uno dei suoi linguaggi più intimi e ostinati: la pittura.
Mao Xuhui: Emergence of the Patriarch, a cura di Lü Peng, Li Guohua e Carlotta Scarpa, e promossa da L-ART GALLERY con Manuela Schiavano, approda nelle sale del Museo di Palazzo Grimani con 43 opere che attraversano cinquant’anni di lavoro e restituiscono la traiettoria complessa di uno dei protagonisti della cosiddetta ’85 New Wave.

Nato nel 1956 nello Sichuan e formatosi alla Yunnan Art Academy, Mao Xuhui sviluppa ben presto un linguaggio che intreccia introspezione individuale e storia collettiva. Negli anni Ottanta, infatti, mentre la Cina attraversa una trasformazione senza precedenti, Mao sviluppa una pittura in cui l’oggetto quotidiano diventa veicolo simbolico: è celebre, ad esempio, il caso delle forbici, motivo ricorrente nella serie Will / Scissors, dove strumenti familiari si caricano di ambiguità politica, essendo legati ai gesti del tagliare, del separare e del controllare. L’immagine si fa perciò allegoria di una soggettività in tensione tra disciplina e desiderio.
Il cuore concettuale della mostra è però il ciclo dedicato alla figura del padre, da cui prende il titolo Emergence of the Patriarch. Qui il patriarcato non è solo struttura familiare, ma una metafora visiva di un sistema di potere più ampio. Le geometrie rigide, le atmosfere cupe, le composizioni serrate trasformano il padre in un emblema: una presenza insieme privata e politica, che condensa memoria, autorità e trasmissione ideologica.

Da non sottovalutare è poi il contesto in cui questi cicli pittorici trovano posto: tra affreschi rinascimentali e decorazioni manieriste, la pittura dell’artista cinese entra in risonanza con un altro archivio del potere, ovvero quello dell’Occidente umanistico. L’antica dimora permette così una nuova lettura dell’opera di Mao Xuhui: uno spazio in cui la storia europea dell’autorità dialoga, spesso per attrito, con quella asiatica.
A rafforzare l’impianto storico della mostra, vi è anche la presentazione della biografia illustrata dell’artista, edita da Skira e curata da Lü Peng, vera e propria mappa intellettuale della sua formazione: documenti, appunti, dipinti e testi restituiscono il volto di una generazione che ha fatto dell’arte una forma di resistenza silenziosa, ma comunque potente.















