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In che modo la tecnologia sta cambiando il modo di progettare l’architettura? Una ricognizione al MAXXI di Roma
Mostre
Stop Drawing. Architettura oltre il disegno è una mostra che riflette sull’evoluzione dei sistemi di rappresentazione nell’architettura. 100 anni di storia presentati attraverso le opere di 40 artisti testimoni del graduale inserimento della tecnologia nella progettazione. Una tecnologia che non spaventa, non fa paura, non stordisce, invertendo il rapporto tradizionale uomo-macchina.
Un’indagine che attraversa un secolo: dai lavori degli anni ’20 a quelli commissionati appositamente per la mostra. Dagli architetti fedeli al disegno, come Carlo Scarpa o Aldo Rossi, Alessandro Anselmi e Giancarlo De Carlo, le cui opere, collocate all’inizio del percorso, provengono dalla stessa Collezione MAXXI, fino ad arrivare a Frida Escobedo, Liam Young o Philippe Rahm, autori di soluzioni alternative che incorporano collage, video, performance, tessile e molto altro.

Stop drawing: un racconto sul cambiamento della concezione dello spazio architettonico
Siamo sempre stati abituati a riconoscere il disegno come lo scheletro di un progetto architettonico, quell’elemento imprescindibile su cui si proietta il pensiero creativo dell’autore e che prende forma grazie alle tecniche e procedure della res aedificatoria. Il disegno, secondo la lezione di Leon Battista Alberti, è sembrato per tanto tempo una componente inalienabile.
Tale visione granitica ad oggi vacilla a causa dell’affermarsi di strumenti digitali e dispositivi i quali attentano alle fondamenta di un intero sistema di rappresentazione. La mostra testimonia l’eclissi di una concezione tradizionale dello spazio e il tramonto dell’indiscutibile primato del disegno nella costruzione dell’identità dell’architettura.
«Il compito di un museo è quello di sollevare interrogativi e individuare quale direzione stiano seguendo le varie arti che esso ospita». spiega il curatore Pippo Ciorra. «Scopo della mostra è stato quello di cogliere il destino dell’architettura, destino che credevamo di conoscere nella versione indicata da Leon Battista Alberti, quando l’architettura era convenzionalmente divisa in disegno e costruzione. Tale regola ha funzionato benissimo fino alla fine del Novecento, come vedete rappresentato in quella grande quadreria di disegni che vengono dalla nostra collezione. Ora, l’architettura, come tutte le cose del mondo, in quanto produzione artificiale dell’uomo tende a polarizzarsi e decostruirsi. La simulazione prende il posto della rappresentazione. Un’altra parte dell’architettura si separa dal suo corpus generale guardando al suo rapporto con la società: l’attivismo, il farsi strumento per la rigenerazione urbana di determinate aree, il riscatto collettivo di intere comunità».

Il percorso espositivo: la tripartizione in digitale, attivista, artistico
Il progetto di allestimento è imperniato sul binomio tra disegno e media sperimentali in un rapporto talvolta dialettico talvolta sinergico. È lo spettatore a rintracciare un punto di equilibrio tra ordine imposto dalla sequenza spaziale e il proprio percorso percettivo, trovandone la personale chiave di lettura. La mostra fotografa lo stato dell’architettura ai giorni nostri, nel pieno del conflitto tra vecchio e nuovo, interrogando il pubblico sul destino di tale disciplina e sugli orizzonti verso cui si dirigerà. Il percorso espositivo è tripartito in tre sezioni.
Digitale – le vie che aprono le nuove tecnologie
L’architettura non può sottrarsi al confronto e al dialogo con le tecnologie digitali, che non si limitano più ad essere mero strumento nelle mani dell’architetto ma aprono a quest’ultimo percorsi alternativi di ricerca.
Il personal computer, come lo Standard PC IBM e l’Apple Macintosh e i software CAD e di modellazione quali, tra gli altri, MiniCad/ArchiCad, Softimage 3D e Alias/Maya, offrono nuovi orizzonti di ricerca. La mostra Architectures non Standard esposta nel 2003 al Centre Pompidou aveva profeticamente segnalato questa inversione di rotta.
Tra le opere prodotte grazie al vincente binomio uomo-macchina presenti in mostra vi è The handprint project. The new rock, plan 2024 realizzata grazie all’impiego di Lab program di Herman Zhour Art Hub con la collaborazione di 24 studenti dell’International School di Samui.
Attivista – i nuovi obiettivi verso cui si dirige lo sguardo degli architetti
Superare il ruolo tradizionale del disegno vuol dire anche investire l’architetto di un impegno sociale e politico, spingendolo oltre una visione individualista. Significa dare al lavoro una dimensione collettiva capace di confrontarsi con il mondo e aprirsi alle comunità.
«Se vogliamo evitare di essere passeggeri impotenti sulle montagne russe dei cicli di boom e recessione, sono necessari nuovi modi di lavorare e comportarsi. Gli esempi contenuti nel libro forniscono indicazioni su questi nuovi modi, la maggior parte dei quali privilegia valori che esulano da normali termini di riferimento del mercato economico, in favore della giustizia sociale, ambientale ed etica. Come vedremo, si tratta di questioni che si affrontano meglio nel contesto dinamico dello spazio sociale, piuttosto che in quello statico dell’architettura come edificio, da cui il passaggio dai limiti del termine “architettonico” alla possibilità più aperte dello “spaziale”».
Questo estratto del libro Spatial Agency. Other Ways of Doing Architecture di Nishat Awan, Tatian Schneider e Jeremy Till condensa perfettamente il significato della seconda sezione del percorso espositivo. Quest’ultima intende parlare dei nuovi approcci alla pratica architettonica in un mondo che cambia portando sulla scena le grandi questioni globali e trasversali che interessano tutti i paesi: ecologia, inclusione, decolonizzazione, gestione delle risorse, inclusione.

Artistico – l’incontro tra arte e architettura
La terza sezione solleva una questione ben diversa. I confini tra le arti si assottigliano e l’apertura interdisciplinare amplia il terreno comune tra arte e architettura: collage, rappresentazioni tessili, realtà virtuali. La compenetrazione di tecniche e discipline dà vita ad opere eclettiche sempre più stimolanti.
Provocatoria e graffiante, l’esperienza virtuale Planet City ci immerge in una realtà architettonica distopica, fatta di centinaia di edifici accatastati che si sviluppano in verticale, in un inquietante contesto di densificazione estrema. Diretto e prodotto da Liam Young, esso è una finzione in forma di città che ingenera una forte angoscia nell’osservatore circa il destino dell’ambiente urbano.


Ritorno al disegno – Back to Drawing
Nonostante il superamento da parte di molti di quell’ancoraggio al disegno che aveva caratterizzato l’attività dell’architetto fino alla fine del Novecento, non mancano figure di spicco che decidono di difendere lo spazio tradizionale tecnico ed espressivo. La mostra si chiude con una serie di architetti che sostiene il valore del disegno nel panorama attuale, affermandolo come criterio ordinante, valore ideologico e artistico del progetto architettonico.
Tali autori oppongono la loro forma di resistenza a quell’eccesso di delega in favore di tecnologie digitali, intelligenze artificiali, che si spogliano della loro funzione meramente strumentale, sostituendo l’uomo nel processo creativo. Tra questi figurano Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, Jo Noero, Jorinde Voigt, Chris Ware, cui si affiancano le opere di Li Han e Hu Yan, entrambi soci di Drawing Architecture Studio, quelle di Atelier Bow-Wow e altri.

Stop Drawing, nella sua dimensione monumentale, si presenta come una ricognizione tra le varie declinazioni della ricerca architettonica e i nuovi orizzonti nuovi verso cui si dirige. Una mostra in cui confluisce una pluralità di voci di diverse di generazioni di architetti, testimonianza di un clima eterogeneo, frammentato e fervido.














