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In dialogo con Valentina Palazzari e Davide Sarchioni, il racconto della mostra su Boccaccio
Mostre
A Palazzo Pretorio di Certaldo (FI) è in corso la mostra Fiammetta, una personale dell’artista Valentina Palazzari curata da Davide Sarchioni. Attraverso questo progetto si vuole omaggiare il padre della novella, Giovanni Boccaccio, in occasione dei 650 anni dalla morte. Il titolo della mostra, infatti, prende spunto proprio dalla musa del poeta: Fiammetta.
Valentina Palazzari esplora concetti legati alla memoria, allo spazio e al tempo, rivelando una realtà transitoria e in costante trasformazione, attraverso un linguaggio che si muove liberamente tra scultura, pittura, installazione e video. A margine dell’inaugurazione, abbiamo intervistato l’artista e il curatore.
Valentina, in che modo le opere presenti in mostra si intrecciano tra loro? Qual è il fil rouge che le unisce?
«Il percorso espositivo rappresenta un “passare attraverso”, è un lavoro nello spazio, nato proprio dall’ascolto delle sale, dell’ambiente del Palazzo Pretorio. La posizione del lavoro è parte di esso, che non consente di passare tra le opere, queste sono poste in una condizione di osservazione, bisogna sentirsi esterni a ciò che si guarda.
Questa specifica mostra non rappresenta per me un momento “intimista”, in un’epoca storica come quella in cui viviamo, non possiamo permetterci di essere intimisti, ma focalizzare con chiarezza il presente».
L’aver vissuto a Terni, definita anche “città dell’acciaio”, ha influito sul tuo percorso artistico?
«Assolutamente sì. Il metallo è “in me” soprattutto come elemento di contatto, quando lavoro penso sempre a dove poggio i piedi fino all’infinito dove posso immaginarlo. I metalli, tutto sommato, sono i materiali di cui è composto l’universo, sono così importanti per me perché sono il mio contatto con l’infinito.
I metalli dunque rappresentano, da un lato, un cordone ombelicale con la mia città natale, dall’altro lato invece, c’è l’ascetismo, San Francesco, c’è il saio, anche nell’ultima sala, l’opera Affuoco è circondata da una catena che in fondo è la corda di un saio».

All’interno del percorso espositivo, trovano posto alcune opere come Affuoco e Senza titolo, prodotte per altre mostre, ad Acquapendente (VT) nel 2019, la seconda Senza titolo 2020, all’interno dell’Ex Convento di San Francesco a Mirandola, come mai haiscelto di riproporle?
«Ho pensato che in questo contesto dovessero rivivere, sebbene abbiano assunto un significato completamente diverso, dovuto sia al luogo in cui sono esposte, sia al dialogo con altri lavori».
Le ultime due sale della mostra sembrano lanciare messaggi “contrastanti”, si passa dalla precarietà delle sedie disposte su pile di libri, a una struttura in metallo “compatta” che dà quasi l’idea di protezione, come si spiega questa relazione?
«La sala dove sono esposte le sedie è la sala della precarietà dovuta alla conoscenza, questa infatti non crea certezze ma al contrario domande: più sappiamo, più siamo insicuri, magari cresciamo moralmente, cresce la nostra visione, abbiamo cioè una visuale più alta, e più dubbi, interrogativi, complessità.
Fiammetta è una mostra che si attraversa come il letto di un fiume, il mio dialogo con lo spazio, in questa esposizione, non è partecipativo ma osservativo, dobbiamo guardarci e comprendere dove siamo oggi. L’altezza del pensiero di conoscenza genera dubbio, ma questa precarietà è l’unica possibilità di crescita che abbiamo, l’unica strada percorribile».
Nella terza sala sono disposte delle opere “tubolari” a cui sono legate, tramite delle fascette, delle banconote e monete, si possono leggere come una sorta di denuncia al consumismo e alla società di massa? Come le hai pensate?
«Ho affermato di desiderare che il visitatore guardi la mostra esattamente come un pensiero che prende forma senza scomporla in simboli. Sicuramente porre il denaro in un lavoro rappresenta un’operazione dura e violenta, ma che ho ritenuto necessaria».

All’interno della mostra c’è un’opera a cui sei particolarmente legata?
«Direi l’opera costituita da sacchi di plastica colmi di libri presente nella terza sala. Da un lato la plastica bianca è quasi marmorea, dall’altro il contenuto, una sorta di Pietà, un corpo morto che non respira all’interno di questi sacchi».
Passo ora a te, Davide. Come hai coniugato nel tuo progetto curatoriale le opere dell’artista Valentina Palazzari con le sale del Palazzo Pretorio di Certaldo?
«È stato un lungo lavoro di riflessione guidato innanzitutto dall’artista: dopo una serie di sopralluoghi al palazzo, è emersa in maniera sempre più forte la necessità di instaurare una relazione anzitutto con la storia e la funzione originaria del luogo.
Il Palazzo Pretorio è di una bellezza architettonica e artistica sconcertante, ma allo stesso tempo era sede dei Vicari fiorentini, dove si amministrava la giustizia, c’erano infatti anche le carceri dove venivano torturati i prigionieri. Questo fascino così duro e l’idea che un luogo di tale bellezza avesse un passato così aspro, ha ispirato l’artista a trovare una chiave di lettura per riconnettersi con l’attualità e con la realtà. Ovviamente si tratta sempre di un linguaggio artistico, ma le modalità con cui Valentina lavora con la verità dei materiali — per lo più semplici, ma di derivazione industriale — rappresenta per lei un modo autentico di connettersi con la dimensione reale. L’artista costruisce un ponte tra la realtà evocata dal luogo (ma anche l’immaginario legato a Fiammetta e il tentativo di Boccaccio, di trasporre nel Decameron la realtà del suo tempo) e il nostro presente: sono piani di esistenza che si intrecciano e si riflettono l’uno nell’altro. Palazzari ha voluto creare dei segni plastici che hanno spinto in avanti la sua ricerca e instaurato formule dialogiche con il palazzo. Il tema di questa mostra è il lavoro nello spazio e, attraverso i “segni” dell’artista, il palazzo si trasforma da contenitore a contenuto, l’ambiente stesso diventa opera, non è presente dicotomia tra questa e il luogo».

Hai già collaborato con Valentina Palazzari, nel 2018 a Caserta e nel 2023 a Prato, come descriveresti il suo lavoro?
«Il lavoro di Valentina Palazzari affonda le proprie radici in una riflessione sullo spazio, è un ragionamento che parte da lontano, da una tradizione occidentale e soprattutto italiana, ma riflette anche parte della sua biografia: Valentina è nata e ha vissuto per tutta la sua adolescenza a Terni, città dell’acciaio, e credo che questo aspetto abbia inconsciamente influenzato la sua predilezione per certi materiali, duri e aspri nella loro essenza, attraverso i quali tuttavia si accende una scintilla poetica. La sua visione è insieme intensa e delicata: pur lavorando con elementi grezzi o oggetti desunti dal quotidiano, li trasfigura in un linguaggio che attinge costantemente all’attualità come al proprio vissuto. Al centro della sua ricerca ricorrono i temi della fragilità e della forza, concepite come un equilibrio instabile e dinamico tra opposti. Il suo spirito umbro la radica inoltre a una visione quasi francescana dell’esistenza, che si riflette nel rigore e nella misura che attraversano tutto il suo lavoro. Di fronte alle sue opere – come nel caso di Fiammetta, ma non solo – lo spettatore è chiamato a un esercizio di pensiero libero. Le sue mostre non si lasciano assimilare nell’immediato, non perché si presentino come enigmi da risolvere, ma perché ogni volta il lavoro raggiunge una densità tale da richiedere di soffermarsi a riflettere o tornare ancora per poter cogliere nuove sfumature e possibilità di lettura. Palazzari stessa definisce la sua ricerca come “profondamente umana”, un percorso animato dal desiderio di autenticità e verità, perseguito attraverso una visione poetica che, pur aprendosi a molteplici interpretazioni, rimane sempre saldamente ancorata alla concretezza della realtà».
Fiammetta era la musa di Boccaccio, tu hai un “nume tutelare”? Da cosa ti lasci ispirare nel tuo lavoro di curatore?
«Il mio vero nume tutelare sono sempre stati gli artisti e la loro ricerca. Oggi, però, sembra che essi occupino una posizione marginale rispetto ad altre figure, come critici e curatori, che governano il sistema dell’arte. Non si parla più di un artista per la qualità di una mostra o per la forza del suo linguaggio, ma quasi esclusivamente per quanto vende, per chi lo promuove o lo colleziona: criteri che finiscono per imporsi come unici parametri di valore, mentre vengono a mancare il confronto critico e il dibattito culturale.
Personalmente ho sempre scelto di partire dagli artisti, lasciandomi ispirare dalle loro visioni: il dialogo con loro è la base che apre nuove direzioni al mio lavoro di ricerca.
Vorrei che anche la mostra Fiammetta potesse contribuire a stimolare una riflessione in questa direzione. È fondamentale riportare al centro l’artista e la cultura, aspetti che oggi tendono a emergere sempre meno. Troppo spesso si confonde il valore di un artista con la sua capacità di essere “mainstream” o con i successi ottenuti sul mercato: un paradigma che, a mio avviso, non può restituire la vera misura dell’arte».
Quindi, occorre in qualche modo “ritornare” alla definizione dei ruoli di artista e critico emersa già durante il Convegno di Verucchio del 1963?
«I ruoli sono cambiati e anche le figure del critico e del curatore hanno assunto nuove sfumature e ambiti di intervento. Tuttavia, gli artisti restano i veri protagonisti: senza di loro non potrebbe esistere alcun sistema dell’arte. Ciò che occorre, semmai, è recuperare la capacità di leggere l’arte in senso critico, restituendole profondità e significato oltre le logiche del mercato».
Perché si dovrebbe visitare la mostra Fiammetta?
«Se mi mettessi nei panni di un visitatore, direi che questa mostra merita di essere vista perché offre uno sguardo inedito sul luogo e la sua storia, rispetto alle precedenti. La considero un esperimento riuscito di connessione profonda, ma anche di convivenza e coesistenza tra un bene culturale e un’espressione contemporanea. In questo dialogo il luogo non solo mantiene intatta la propria identità, ma viene esaltato e arricchito da nuovi contenuti che ne ampliano la lettura e il senso».















