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Kounellis al Walker Art Center nel 2022. Le anticipazioni di Vincenzo De Bellis
Mostre
di Silvia Conta
Il Walker Art Center di Minneapolis, nel Minnesota, è uno dei cinque musei d’arte moderna e contemporanea più visitati degli Stati Uniti e ogni anno, tra museo e Sculpture Garden, accoglie più di 700mila visitatori.
Fondato nel 1879 da Thomas Barlow Walker, ha una vocazione multi- e interdisciplinare che lo ha portato a raccogliere una collezione dedicata a arti visive, performative e alla media art con quasi 13mila opere di oltre 2.500 artisti.
Sarà questa istituzione, nel 2022, a dedicare a Jannis Kounellis (1936, Pireo, Grecia – 2017, Roma) la sua più grande retrospettiva negli Stati Uniti a 35 anni dalla sua ultima personale oltreoceano. La mostra sarà curata da Vincenzo de Bellis, Curator and Associate Director of Programs – Visual Arts al Walker Art Center, in stretta collaborazione con la famiglia e l’archivio. Partendo da una conoscenza personale con Kounellis e da un progetto espositivo abbozzato con lui, de Bellis sta facendo nascere una mostra che unirà un forte impianto filologico a un taglio curatoriale che approfondirà complessità e attualità della ricerca dell’artista.
In una lunga intervista il curatore ci ha raccontato come è nata la mostra e perché il Walker Art Center è il luogo ideale per questa mostra antologica.
Intervista a Vincenzo de Bellis
Come è nata l’idea di realizzare questa mostra?
«La mostra è nata già alla fine del 2016. Anzi in realtà in nuce era già partita qualche mese prima con la partecipazione di Jannis a “Ennesima: Una mostra di Sette Mostre sull’Arte Italiana“, alla Triennale di Milano (novembre 2015 – marzo 2016). In quell’occasione avevo esposto un lavoro performativo, anche se Jannis non amava definirli così, del 1970.
Una volta arrivato a Minneapolis ho iniziato a pensare alle mostre che volevo realizzare e allora ho sentito Jannis (che allora era ancora tra noi) per proporre una retrospettiva di tutti i suoi lavori con una componente “vivente”.
Dopo qualche mese Jannis è venuto a mancare e, per ovvie ragioni, abbiamo messo tutto in pausa.
Nel frattempo avevo ho iniziato a lavorare ad una grande collettiva “The Paradox of Stillness: Art, Object and Performance”, che avrebbe dovuto inaugurare a aprile 2020 e invece ora per via di Covid 19 aprirà a maggio 2021. In questa mostra, ci sono tantissimi spunti che vengono dal lavoro “performativo” in genere e in particolare di quello di Jannis. Avevo in mente di presentare una sua opera importantissima in quel contesto.
Poi però ho potuto parlare nuovamente dell’ipotesi di una sua personale con Damiano, il figlio di Jannis, che è il rappresentante dell’Estate e Michelle che ne è stata la compagna e collaboratrice per oltre 30 anni. Abbiamo allargato l’orizzonte a una mostra più ricca, con opere che raccontassero tutta la storia di Jannis. Ma che non lo raccontassero didascalicamente da A a Z in una linea diretta e cronologica, ma attraverso degli accostamenti tra opere di tutte le decadi della sua carriera, mescolate a voler raccontare insieme la complessità e la circolarità del lavoro di Jannis.
A quel punto ho deciso di non presentare Jannis nel contesto della collettiva, anche se nella mia introduzione sottolineo l’influenza del suo lavoro, per lavorare più compiutamente a un grande progetto.
Abbiamo fissato la mostra per il 2020 ma dopo qualche mese è arrivata per loro la possibilità di realizzare la mostra alla Fondazione Prada e abbiamo, giustamente, posticipato ancora. In questi anni ci siamo visti tante volte. Ogni volta che io tornavo in Italia passavo dall’archivio a Roma o dalla casa di campagna in Umbria. Abbiamo continuato a lavorare e ora abbiamo finalmente annunciato la data della mostra.
È stato un viaggio lungo e tortuoso anche perchè in questo momento i musei americani sono molto condizionati, nel bene o nel male, da quanto sta succedendo nella società americana. Proporre di un artista italiano in questo momento non è stato semplice, e per questo è tutto ancora significativo e importante».
Che cosa significa realizzare la prima grande mostra su Kounellis negli Stati Uniti dopo 35 anni?
«Significa innanzitutto realizzare una mostra di un grande, grandissimo artista. Poi se vogliamo dirla tutta, io spero che questa mostra restituisca a Jannis qualcosa che non ha avuto e che penso che gli spetti. Jannis è un gigante, una parola abusata ma mai così adeguata come in questo caso. Un artista che ha avuto una carriera straordinaria e i cui lavori sono esposti in musei e collezioni importantissime. Diversi musei americani hanno lavori nelle loro collezioni, penso al MoMA, all’Hirshhorn, al SFMOMA, al Guggenheim, all’Art Institute of Chicago, e ovviamente al Walker. Ma allo stesso tempo a livello di mostre, se si eccettua una bellissima e importantissima al Museum of Contemporary Art di Chicago nel 1986, non ha avuto la visibilità che un artista della sua levatura, della sua influenza, avrebbe meritato e tutt’ora stramerita».
Può già raccontarci quale saranno i nodi tematici principali di questa antologica?
«Per quanto i temi della mostra: sto lavorando a stretto contatto con Damiano e Michelle per definire i temi, gli accostamenti, e la selezione delle opere, per rispettare il più possibile il modo in cui Jannis avrebbe voluto presentare il suo lavoro ma cercando di dare la mia visione curatoriale. Posso dire che la mostra cercherà di sottolineare non solo la grande stratificazione dell’Opera di Kounellis ma anche la sua grande attualità».
Come si inserisce la mostra nell’attività espositiva del Walker Art Center?
«Il Walker è conosciuto in tutto il mondo per varie ragioni tra cui la capacità /volontà di andare in direzioni non esplorate da altri, siano esse con artisti emergenti ai quali viene data la possibilità di confrontarsi per la prima volta con uno spazio importante, ma anche con artisti maturi che non hanno ancora avuto la visibilità dovuta loro. Sempre guidati da un principio fondante, ovvero rendere chiaro il collegamento tra arte contemporanea e vita contemporanea.
Tantissimi artisti hanno avuto la loro prima importante mostra museale al Walker, tra questi Joseph Cornell, Frank Gehry, e più recentemente Glenn Ligon, Julie Mehretu e Kara Walker. Altri invece grazie al Walker hanno ricevuto la consacrazione nell’olimpo dell’arte come Hélio Oiticica nel 1993, Bruce Nauman con sua enorme e iconica retrospettiva del 1994 o Merce Cunningham nel 2017 in cui abbiamo presentato tutte le sfaccettature della straordinaria parabola di questo grande artista.
Walker è stato sempre molto attento all’arte italiana sin da quando nel 1966 ha presentato la prima mostra di Lucio Fontana in un museo americano e nello stesso hanno ha anche dedicato la prima mostra americana a Michelangelo Pistoletto. Parliamo del 1966 prima ancora che l’arte povera venisse teorizzata.
Nel 1972 è stata la volta di Mario Merz e per concludere nel 2001 la grande mostra sull’arte povera “Zero to Infinity: Arte Povera 1962–1972”. Molti pensano che quella mostra fosse stata organizzata dalla Tate, ma questo solo perchè la Tate fu la prima tappa del tour che poi l’avrebbe portata al Walker, e poi ancora all’LA Moca di Los Angeles e all’Hirshhorn di Washington. In realtà la mostra fu concepita dal Walker insieme alla Tate, ma il vero artefice, come anche documentato dal bellissimo catalogo, fu Richard Flood, allora Chief Curator del Walker, e la mostra partì da Londra solo per una questione logica di posizione geografica. Ma non finisce qui. La collezione del Walker ha tra le più significative raccolte di opere di Arte Povera negli Stati Uniti, tra cui due lavori, uno del 1974 e uno del 1982, proprio Kounellis.
La mostra pertanto si inserisce perfettamente in tutte queste storie ma ha anche altre ragioni. Il Walker è infatti riconosciuto in tutto il mondo come il leader nella fusione delle arti, nella rottura delle classificazioni tipiche dei musei in media artistici.
Il Walker invece non solo non distingue i media artistici nella definizione dei suoi dipartimenti ma anche le varie discipline che compongono le differenti anime del museo: arti visive, arti performative, cinema e design si sovrappongono spesso tra loro nei progetti e nella programmazione.
E Jannis ha rappresentato un artista trasversale, che non ha solo utilizzato diversi media nelle sue opere e che nelle stesse ha sempre parlato di drammaturgia, ma anche collaborato tanto con il teatro. Questa sua peculiarità, questa sua stratificazione, insieme a tutto quello che ho detto prima, lo rende un artista da e per il Walker».