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L’universo di Giovanni Morbin è ‘Fuori dalle Orbite’, a Verona da Habitat83
Mostre
Se un pianeta, o un satellite, supera la velocità di fuga, può accadere che esca dalla propria orbita originaria. Basta un’accelerazione imprevista, un movimento diverso da quello che ha sempre avuto, ed ecco che inizierà a vagare per la galassia come un rogue planet o una rogue star: in gergo, pianeti e stelle vaganti, liberi. I pianeti che fuggono dalla loro orbita d’origine iniziano a muoversi nello spazio inseguendo una nuova traiettoria o restando in un cammino errante. Possiamo immaginare Giovanni Morbin come un rogue artist: un artista acuto e radicalmente originale, che ama restare fuori dalle orbite prestabilite. Ben saldo sulla propria traiettoria, determinato a non rispondere ad alcuna orbita di potere o di mercato contemporaneo, Morbin orienta il suo lavoro verso il risveglio della coscienza: una consapevolezza nuova, che ci ricorda come un pensiero fuori dalle orbite già tracciate – fuori dalle logiche di controllo – sia possibile.

Come un risveglio, appunto: chi legge le sue opere nei significati più profondi acquisisce uno sguardo diverso sul presente, più ampio, più fiero… un’orbita nuova. In questo senso, Morbin incarna quell’idea hegeliana di artista come colui che ci fa vedere meglio ciò che già abitiamo: rende visibile l’invisibile, portando alla superficie tensioni, scenari e possibilità che altrimenti resterebbero celati. «È un invito a disallinearsi. A sottrarsi alle geometrie del controllo, per esplorare forme alternative di esistenza, pensiero e relazione», racconta il curatore e direttore artistico di Habitat83 Zeno Massignan. Attraverso performance, sculture e fotografie, l’artista invita a rivalutare e ad aprire gli occhi su dinamiche di potere e controllo mascherate, per esempio, da servizi per il pubblico nel campo delle telecomunicazioni. È il caso delle due opere L.E.O. (Low Earth Orbit), installazioni in cui immagini di saltatori con l’asta, colti nell’attimo esatto in cui superano l’ostacolo, sono sospese in aria, in modo da orbitare sopra le teste dei visitatori. Al buio, i corpi degli atleti diventano fosforescenti, come satelliti che ci passano accanto a poca distanza. «È un’operazione drammatica e affascinante al tempo stesso: la deambulazione dei satelliti sopra di noi» racconta l’artista. «Dal punto di vista tecnologico è super efficiente, permette connessioni potentissime. D’altro canto, è un potere enorme nelle mani di una sola persona: Elon Musk. Oggi questi satelliti servono per la trasmissione di dati, ma sempre più anche di immagini. È un fascino, e un pericolo, allo stesso tempo».

Nell’indagine di ciò che sfugge al controllo e si sottrae a un ordine prestabilito, Morbin guarda alla polvere come materia e insieme antimateria, forma plasmabile e informe, soglia estrema di ciò che l’occhio umano riesce ancora a vedere prima di ciò che comunemente chiamiamo “vuoto”. Nell’opera Liberazione, l’artista viene fotografato mentre lancia polvere di metallo in un paesaggio innevato, lasciando che la materia, visibile per un istante, si disperda poi nel cosmo. L’invito è di osservare la dissipazione della materia e contemplare ciò che rimane: il vuoto. Lo stesso gesto appare nella serie Antimateria, in cui blocchi e lastre di polistirolo sono lasciati erodere dalla polvere incandescente di uno smerigliatore: un’operazione di cancellazione che genera nuovi paesaggi visivi. E se guardare quel vuoto può intimorire, Morbin ci ricorda che anche l’assenza è fatta di particelle ordinate che la compongono. Si crea così un’oscillazione tra vuoto e pieno, materia e antimateria, controllo ed evasione: una oscillazione che restituisce l’immagine più fedele della ricerca di equilibrio dell’essere umano, costantemente attraversato da tensioni opposte.

Con la stessa volontà di sfuggire ai meccanismi economici e rompere gli schemi, in Mi arrendo Morbin spinge al limite il concetto di mercificazione dell’immagine artistica. Realizza cinque opere identiche nel soggetto (un suo ritratto con le mani alzate), ma ogni volta con una porzione visibile sempre minore. Più l’immagine è ridotta, meno l’artista è riconoscibile e più l’opera costa. È un ribaltamento ironico e concettuale: il valore cresce non con l’aumentare della presenza, ma con la sua sottrazione, come se l’assenza stessa diventasse il vero oggetto del desiderio. Così facendo, Morbin invita a immaginare traiettorie altre, deviazioni possibili, spazi di libertà da cui intravedere un altrove. Come un corpo celeste che sfida la gravità, il suo lavoro ci ricorda che l’arte può ancora deviare i nostri percorsi, reindirizzare la rotta, suggerire nuove forme di presenza nel mondo. È l’inizio di una scelta: quella di imboccare una diversa orbita.












