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L’universo nello spazio di una sedia: la mostra di Joshua Oheneba-Takyi a Napoli
Mostre
The Silent Allegory of a Universal Chair è il titolo della prima personale italiana del giovane artista Joshua Oheneba-Takyi, con la curatela di Domenico de Chirico, visitabile fino all’8 novembre alla Shazar Gallery di Napoli. Il pittore ghanese, nato nel 1997 a Kumasi e di base ad Accra, ha all’attivo la partecipazione a innumerevoli esposizioni in sedi internazionali, dalla Saatchi Gallery di Londra alla 1-54 Contemporary African Art Fair a Parigi. L’artista ha inoltre collaborato con la Gallery 1957 di Accra, considerata tra le gallerie più influenti nella diffusione dell’arte africana nel mondo.

Entrando negli spazi della Shazar Gallery, notiamo subito un’unità ricorrente nelle opere in mostra: la sedia. Nel lavoro di Oheneba-Takyi, questo elemento formale si carica di un significato visivo e concettuale, dopo essere stato introiettato dall’artista in un’esperienza di vita, durante il suo trasferimento da Kumasi ad Accra per frequentare l’Accademia. Nell’appartamento che doveva ospitarlo, infatti, l’unico elemento d’arredo presente era proprio una sedia, oggetto che sarebbe diventato un feticcio nella sua produzione. Attraverso quella scena scarna, l’artista ha preso consapevolezza di uno spazio vuoto come dimensione abitabile. Da tale evento autobiografico si dipana gran parte della ricerca di Joshua Oheneba-Takyi.

La sedia quindi assurge ad archetipo allegorico tramite il quale l’artista ci invita a indagare l’uomo e il mondo che lo circonda. La novità apportata per questo nuovo progetto, che ha avuto una gestazione di due anni ed è stato realizzato ad hoc per gli spazi di via Pasquale Scura, risiede nell’affrancarsi dalla figura umana, ponendo al centro della produzione esclusivamente la sedia come elemento concettuale, a rappresentare un momento essenziale: con quell’oggetto, la casa inizia a prendere vita. L’umanità in questo caso non viene più rappresentata direttamente, come nei suoi precedenti dipinti, ma viene narrata tramite la collocazione e la quantità delle sedie. La singolarità delle opere viene rafforzata, sul retro di ogni quadro, dalla presenza di una frase dell’artista o di uno scrittore.

La pittura in questa serie di opere è diventata più concettuale e presenta degli elementi di innovazione, oltre all’esclusione della figura umana. In tutte le 15 tele presenti in mostra, il fondo dei quadri è dipinto a olio, con cui l’artista rievoca i tessuti, drappeggi e tappezzerie che richiamano la pittura barocca europea, mentre la sedia-feticcio è serigrafata. Oheneba-Takyi utilizza quindi una tecnica di riproduzione tipicamente Pop, bloccando però, in un certo senso, il concetto di riproducibilità tramite l’unicità della parte sottostante dipinta a mano.
Un altro versante tematico su cui si concentra l’artista è quello ambientalista: questa tipologia di sedia è presente in ogni parte del pianeta ed è uno dei simboli della globalizzazione e della diffusione della plastica nel mondo. In particolare la pandemia e le guerre in atto ci suggeriscono di confrontarci con l’ecologia di Bruno Latour, con cui siamo invitati a superare definitivamente la modernità e il suo braccio armato rappresentato dal liberismo sfrontato e distruttivo.

Infatti, dalla riflessione ambientalista scaturisce anche una considerazione sociale, facendo emergere il concetto di uguaglianza. La sedia è un elemento che attraversa le nostre vite, un filo rosso che lega tutti gli individui in ogni parte del mondo. Ogni sedia è un posto riservato a ciascun essere umano, senza esclusioni. Questa dichiarazione presenta però anche un risvolto ossimorico: l’uguaglianza è, al tempo stesso, sintomo di omologazione. La riproducibilità tecnica che caratterizza il periodo storico attuale viene appunto restituita dall’artista tramite la tecnica della serigrafia, che tende a omologare tutto.
Infine, la sedia non è soltanto un oggetto destinato alla sua funzione: nel lavoro L’anatomia del trono, ad esempio, ogni schienale reca un simbolo della tradizione ghanese che significa “Tutti tranne uno”, dove l’uno rappresenta la divinità. Accanto alla sedia compare anche la scritta “Gye nyame”, che rimanda alla fede nella divinità, qualunque essa sia.
Altri simboli incisi sugli schienali fanno invece riferimento alla cultura giovanile del paese d’origine dell’artista, come graffiti urbani, inserendo così nel lavoro una stratificazione di rimandi sociali e culturali.

Possiamo dunque estrapolare diversi livelli di lettura relativi alla mostra: un semplice oggetto comune viene rielaborato sotto diversi punti di vista e riconsegnato in varie sfaccettature, inducendo il pubblico a riflettere su questioni che riguardano l’umanità e il pianeta.














