30 ottobre 2025

“Matermània / Matermanìa”: una mostra ad Arzignano tra latte, ceramica e maternità

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Visitabile fino al 24 gennaio 2026, la nuova mostra di Atipografia, in provincia di Vicenza, riunisce sei artisti per esplorare la maternità nelle sue tante sfaccettature, tra pentole forate, alabastro e fotografia

Installation view Matermània/Matermanìa, Marta Allegri, Eva, 1999. Atipografia 2025-2026

Il profumo di brodo appena fatto non si sente spesso in uno spazio espositivo. Eppure, è questo aroma caldo e vaporoso che ci solletica il naso varcando la soglia di Atipografia, ad Arzignano, in provincia di Vicenza. È una sensazione che mentalmente ci riporta subito a casa, alla sacralità dello spazio domestico e degli affetti intimi. Ma, seguendo la scia del profumo, non troviamo una cucina, bensì un’opera d’arte: una pentola forata, posata su un piccolo tappeto, in cui il brodo bolle senza sosta. È una creazione di Marta Allegri, che fa qui riferimento alla sua biografia, in particolare all’esperienza del post-parto. Ed è da questa installazione —in cui il sacro e il domestico si confondono— che possiamo iniziare a raccontare la storia di Matermània/Matermanìa, esposizione a cura di Elena Dal Molin, direttrice della galleria, e Marco Mioli.

Tema centrale della collettiva è infatti, come suggerito dal titolo, l’esperienza universale e al tempo stesso irriducibilmente intima della maternità, qui esplorata attraverso le ricerche materiche di sei artisti con cui la galleria collabora ormai da lungo tempo: Marta Allegri, Mats Bergquist, Gregorio Botta, Diego Soldà, Zeljana Vidovic e Stefano Mario Zatti.

Installation view Matermània/Matermanìa, Atipografia 2025-2026

Pensata come il primo di tre capitoli che riaffermano l’identità stessa della galleria, la mostra è un progetto ambizioso, non tanto nelle dimensioni quanto nel soggetto trattato. Quella di mostra sulla Madre —intesa come archetipo tanto quanto come soggetto in carne e ossa— è infatti un’idea che aveva, a suo tempo, stuzzicato anche il grande Harald Szeemann, che però non riuscì mai a concretizzare.

Senza pretendere di risolvere e riassumere una ricerca tanto vasta, anche qui la Madre assume una dimensione al tempo stesso universale e autobiografica: Madre può essere il Padre che misura, con un disegno cadenzato nel tempo, la crescita del proprio figlio, come nel caso di Stefano Mario Zatti; o i vasi panciuti della serie di ceramiche Amare, di Zeljana Vidovic, dove l’artista entra in un rapporto fisico e generativo con la materia stessa.

Oppure ancora: la Venus di Mats Bergquist, la cui forma stessa fa riferimento alla nascita; e la chiocciola di Diego Soldà, formata dalla stesura, giorno dopo giorno, di strati di pittura policromi, uniti in una scultura solida, dall’aspetto di un grosso fossile.

Installation view Matermània/Matermanìa, Atipografia 2025-2026

C’è poi il lavoro di Gregorio Botta, da cui la mostra stessa prende il titolo. Qui, latte, cera e alabastro si fondono in una sorta di icona laica, svuotata di ogni immagine, in cui la figura della Madonna —la madre per eccellenza— rimane assente, ma a cui tutto sembra alludere. La freddezza della pietra, unita con la morbidezza del latte e della cera, sembra un riferimento alle due dimensioni archetipe della madre: da un lato, fonte di nutrimento e calore, dall’altro principio di distacco, di perdita, di separazione necessaria.

In questo senso, Matermània/Matermanìa sottrae la maternità alla retorica della dolcezza e dell’istinto per restituirla come spazio di complessità, ambivalenza e trasformazione. La maternità appare come una forma di creazione che, come ogni atto artistico, implica anche una rinuncia, un lasciar andare: generare significa anche separarsi.

Installation view Matermània/Matermanìa, Gregorio Botta, Matermanìa, 2025. Atipografia 2025-2026

Questa complessità è restituita anche nelle altre due opere di Marta Allegri presentate in mostra, artista che ha aperto e che conclude questo nostro racconto. In Eva, opera del 1999 dedicata alla nascita della figlia, una fila di lumini racchiusi in mestoli da cucina costituisce per l’artista una linea d’unione diretta tra antenati e discendenti: una filo luminoso che continua a perpetuarsi, di madre in figlia. Accesa solo in occasione dell’inaugurazione, l’opera diventa un evento, come il parto, appunto.

Questa linea di continuità riemerge in La Madre (2022): due fotografie installate ai lati opposti della galleria —da un lato un ritratto della madre dell’artista, dall’altro i suoi figli. Stando al centro, il visitatore si ritrova così sospeso tra passato e futuro, nella posizione ambigua e fertile di chi è insieme genitore e figlio.

Installation view Matermània/Matermanìa, Marta Allegri, I cibi devono sempre essere protetti dalle mosche. Atipografia 2025-2026

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