25 marzo 2022

Nicola Samorì: una pinacoteca orizzontale a Villa d’Este

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A Tivoli, l’opera di Nicola Samorì in dialogo con l’ambiente delle sale di Villa d’Este nella mostra “Le ossa della madre”, nata dal Premio Level 0 di ArtVerona, in collaborazione con Galleria Monitor

Nicola Samorì, Le pietre, 2022.

Scaturita dal format di ArtVerona “Level 0”, la mostra “Le ossa della madre” è stata organizzata con la galleria Monitor che pochi mesi fa ospitava nella sua sede romana una personale dell’artista. Per quest’occasione, il direttore delle VILLÆ Andrea Bruciati ha invitato Nicola Samorì a un confronto con gli spazi e le decorazioni delle sale della dimora del Cardinale Ippolito d’Este. Così, ha preso forma una “pinacoteca orizzontale” in cui la pittura e il mito si insinuano nelle superfici di lastre minerali. Fino al 19 aprile 2022 la mostra sarà visitabile a Villa d’Este, dove avranno luogo anche degli appuntamenti di approfondimento con i critici Davide Ferri, Francesco Paolo Del Re e Anton Giulio Onofri.

Una pinacoteca orizzontale a Villa d’Este

Con “Le ossa della madre” di Nicola Samorì, nelle sale di Villa d’Este trova spazio un lapidario contemporaneo che fa da contrappunto alle decorazioni parietali preesistenti. L’intenzione è stata quella di caricare lo spazio fino a un punto limite, specchiando l’orizzontalità, una manovra non semplice in un luogo così carico di segni. Onici, marmi e brecce si alternano su piani orizzontali, presentando geometrie composite che restituiscono immagini fatte di forme insite e scaturite nelle pietre che sposano il disegno della mano dell’artista. Una morfologia petrosa fatta di repentine alternanze di tono e fessure irregolari, perfettamente generate dalla natura dei minerali. Sono le pietre di scarto che Nicola Samorì ha selezionato e portato a Villa d’Este, trasformandole in opere, in un rapporto con questo materiale che ha sviluppato a partire dal 2018.

Nicola Samorì, La luce è un buco, 2019.

La scelta del minerale è guidata dall’intuizione e a volte l’operazione si limita alla sola individuazione del pezzo, quando l’artista si trova di fronte a pietre che sembrano essere in attesa di qualcosa e che al contempo svelano già una loro compiutezza. Le pietre esposte a Villa d’Este sono scelte e alcune a loro volta hanno scelto il disegno da compiere su di esse, come nel caso di Solstizio d’Inferno. L’opera è collocata nella Sala di Noè, al di sotto dell’affresco sul patto di alleanza dopo il Diluvio Universale. In questo dipinto su onice, Samorì ha trasposto una visione apocalittica fatta di corpi agitati al di sotto di un cielo plumbeo dai colori sotterranei che preludono i toni magmatici dell’inferno.

Nicola Samorì, Solstizio d’inferno, 2019.

Così l’artista dipinge sulla pietra gli attimi prima del rovinoso nubifragio, in un processo compositivo in cui strettamente si sono uniti il suo gesto pittorico e la materia dell’onice. Altri corpi e nature morte compaiono tra le sinuose linee colorate delle lastre disposte nella Sala di Noè, come il nudo Jacob che, in tensione verso l’alto, si anima con forza contro la spinta opposta di un corpo nebuloso dalle striature aranciate scure.

La carnificazione della pietra, da Ovidio a Nicola Samorì

A Villa d’Este, nel Salone della Fontana giacciono ventiquattro pietre, anche qui speculari allo schema dell’affresco sulla volta, il Convito degli Dei. Lastre e sculture si mimetizzano nello spazio, come i quattro busti marmorei dentro le nicchie sopra le porte della sala. Un ricordo provocativo del busto antico, questi quattro volti ne riprendono il genere rivelando però l’imperfezione nelle loro ferite e mutilazioni. Ferite che tornano incise nella pietra sulle lastre poste orizzontalmente, come nei torsi lesi su fondi scuri che l’artista ha raffigurato tramite una pittura di coscienza caravaggesca ma unica nello sposarsi con la materia petrosa.

Olii su onice e marmi seguono nelle sale successive: quella della Nobiltà, dove il volto di una donna scompare allo scomparire della superficie minerale in Grande grottesco, e quella di Ercole, dove una scultura in marmo nero fa da perno centrale alla stanza. Invel catalizza su di sé l’attenzione, questo essere sospeso da un ultimo soffio di vita in un limbo di morte, dalla pelle di michelangiolesca memoria.

Quello di Nicola Samorì è un processo di carnificazione partito da molto lontano, dai tempi del mito dei progenitori dell’umanità Deucalione e Pirra. Ovidio narrò di come le pietre si trasformarono in corpi ed è così che i sassi divennero “le ossa della madre”. «Grattare la superficie, scavare, dissotterrare – commenta Nicola Samorì –guardare indietro, lanciare isassi/semi alle proprie spalle. Come se per ritrovare la forma, per rigenerare il corpo, si dovesse ripartire dal passato».

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