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Protagonista a Firenze l’ironia ribelle di una voce femminile del Novecento
Mostre
di Ginevra Poli
A Firenze Palazzo Medici Riccardi attraversa il percorso artistico di Clemen Parrocchetti (Milano, 1923 – 2016), figura ancora poco nota del Novecento italiano, in grado di esplorare la complessità dell’esperienza femminile, delle relazioni affettive e della sessualità, sfidando le convenzioni di una cultura patriarcale dominante. Ironia Ribelle, a cura di Marco Scotini e Stefania Rispoli, con la direzione artistica di Sergio Risaliti, è aperta al pubblico fino al 6 gennaio 2026 e presenta oltre cento opere tra dipinti, disegni, sculture, arazzi, documenti e materiali d’archivio, restituendo l’immagine di un’artista anticonformista che ha saputo coniugare ricerca estetica e impegno politico. La mostra, la prima grande retrospettiva dedicata a questa artista all’interno di un’istituzione museale italiana, è promossa dalla Città Metropolitana di Firenze, nasce da un progetto del Museo Novecento ed è curata dalla Fondazione MUS.E in collaborazione con l’Archivio Clemen Parrocchetti.

Clemen Parrocchetti. Dagli anni Sessanta agli anni Novanta: il percorso in mostra
La serie Amore e divorazione, che apre la mostra, rappresenta per Clemen Parrocchetti una svolta radicale. Esposte per la prima volta nel 1969, queste opere sprigionano un’esplosione di colori e simboli che riflettono il clima politico e sociale dell’epoca, intrecciando ricordi intimi e suggestioni culturali: dall’infanzia alla sessualità, dalla pop art al sadismo. Abbandonata la pittura tradizionale, Parrocchetti trasforma poi l’arte in un’arma contro il perbenismo borghese e la cultura patriarcale. Sulle tele prende vita un immaginario grottesco e seducente, fatto di corpi smembrati, maschere, bocche, fiocchi, vagine e fiori: un universo irriverente che dà forma a desideri e istinti nascosti, sfidando ogni convenzione. All’inizio degli anni Settanta, Clemen Parrocchetti continua a dipingere ma con un’espressione più essenziale e controllata: il segno si fa più chiaro, il linguaggio più diretto. Nella serie Trofei solari, forme astratte e colori vivaci creano un’atmosfera festosa che, però, cela ancora tensione e ambiguità tra gioco e violenza.

Accanto ai dipinti, l’artista realizza sculture leggere in fili e materiali poveri, che ricordano le strutture mobili di Alexander Calder (1898-1976), ma ne rovesciano il senso: non celebrano leggerezza e armonia, bensì decostruiscono ironicamente l’idea tradizionale di femminilità. Nel 1973, l’incontro con il Movimento di Liberazione della Donna segna una svolta politica: nasce Promemoria per un oggetto di cultura femminile, un manifesto inciso su alluminio con trapano e filo rosso. Un gesto radicale, che trasforma il cucito da simbolo domestico a strumento di lotta e consapevolezza femminista.

A metà degli anni Settanta, Parrocchetti lascia la pittura per un linguaggio tridimensionale fatto di oggetti comuni, veri e propri readymade trasformati in denuncia contro la cultura cattolico-borghese e il ruolo imposto alle donne. L’artista affronta temi come l’aborto, il divorzio, il salario domestico, la libertà sessuale e la violenza. Nascono assemblaggi di utensili legati al lavoro femminile, ricomposti in totem o presepi dal forte valore simbolico. Esposti nel ’76 e nel ’77 in mostre emblematiche, questi “oggetti di cultura femminile” tornano oggi riuniti in Ironia Ribelle, dopo oltre cinquant’anni. Sempre negli anni Settanta, Parrocchetti abbraccia il femminismo marxista, concentrandosi sul lavoro domestico come forma di sfruttamento. Vicina al collettivo Immagine e al movimento Wages for Housework, denuncia la casa come spazio di oppressione della donna. Nel 1978 partecipa al convegno Donna Arte e Società, da cui nasce il manifesto Vogliamo, Vo(g)liamo, una delle prime riflessioni sul ruolo delle artiste in un sistema culturale patriarcale.

Opere come Metamorfosi di una processione (1978) e Macchina delle frustrazioni (1975) traducono in arte la sua lotta politica. Alla fine degli anni Settanta, Parrocchetti esplora nuovi materiali come la juta e realizza installazioni e arazzi che evocano passaggi e superamenti. Il corpo femminile resta centrale, ma è ora simbolo di forza, desiderio e liberazione. Nel 1978 espone alla Biennale di Venezia con il collettivo Immagine, presentando Grido di Liberazione_Urlo verso la speranza, arazzo-manifesto della sua arte come gesto di speranza e resistenza. Negli anni Ottanta e Novanta, Parrocchetti continua a creare arazzi e opere su carta cucita come pagine di un diario intimo e politico. Il femminismo resta per lei uno spazio di autocoscienza, dove affrontare traumi e rivendicare libertà. I suoi lavori si arricchiscono di poesie visive, tessuti leggeri, fiori artificiali e paillettes, in un gioco ironico con l’estetica della moda. In autoritratti come Io Micol (1995), accanto al suo cane, esplora identità fluide e nuove relazioni tra corpo, natura e altre specie, in una visione aperta e in continua trasformazione.

Anche gli insetti possono fare “la rivoluzione”
Alla fine degli anni Novanta, un dettaglio apparentemente insignificante accende qualcosa in Clemen Parrocchetti. Aprendo l’armadio, scopre alcuni vestiti rovinati dalle tarme. L’evento, quasi comico, si trasforma in una scintilla creativa. Da quel momento, l’artista sviluppa una curiosità scientifica per gli insetti domestici: parassiti minuscoli e silenziosi, spesso ignorati o disprezzati, diventano protagonisti inattesi del suo lavoro. Con lo sguardo di un’entomologa e l’ironia di un’artista, Parrocchetti comincia a studiare manuali di zoologia e storia naturale. Disegna pulci, blatte, pidocchi, meduse. Cuce tarme giganti, che piombano in picchiata su tessuti smangiati: brandelli di abiti diventano territori di conquista, reliquie di vita quotidiana. Così trasformati, i parassiti perdono il loro potere molesto. Diventano farfalle: bellissime, ma imprigionate.

Dietro l’ironia, affiora una riflessione profonda: Parrocchetti vede in quei comportamenti predatori e riproduttivi un’eco delle relazioni umane. La violenza esercitata sull’ambiente e quella sul corpo femminile si rispecchiano. Nel minuscolo mondo dei “piccoli predatori”, Parrocchetti trova un nuovo linguaggio per parlare di resistenza, trasformazione e libertà.














