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Ritrarre le stanze di hotel a una stella: la mostra a Milano
Mostre
Bruno Marrapodi (Milano, 1982), ormai residente a Barcellona, fa ritorno a Milano con Hotel Splendid – Una stella soltanto, mostra curata dal giornalista Giacomo Nicolella Maschietti, aperta fino al 30 ottobre negli spazi di Vetra Navigli, in Corso Luigi Manusardi 3. L’idea nasce da un’amicizia coltivata nel tempo, iniziata ai giorni dello studio in Darsena e rimasta ad oggi un terreno fertile di scambio. Non a caso trova casa in un luogo particolare, che grazie all’iniziativa di uno dei proprietari, membro della band dei New Martini, si è trasformato in un rifugio creativo dove si alternano musica, appuntamenti e racconti.

Questa origine personale si inserisce in una tradizione consolidata: la storia dell’arte è disseminata di sodalizi fondati su fiducia e visioni comuni. Da Celant con Boetti a Bonito Oliva con Chia o Clemente fino a Szeemann con Beuys, i progetti più vivi sono spesso arrivati dall’amicizia più che dalle istituzioni. Non sorprende, allora, che Hotel Splendid avvenga in un bar anziché in un museo. Agli scettici delle esposizioni “fuori sede” ricordiamo che l’Espressionismo Astratto prese forma alla Cedar Tavern di New York, e che il Jamaica di via Brera 32 si animava di incontri, eventi e discussioni che segnarono intere generazioni. Prima delle mostre venivano le relazioni, le polemiche, i manifesti. Questo progetto si muove nella stessa direzione, riportando il bar alla sua natura antica, una piazza coperta.

Oggi Marrapodi lavora a FASE, a L’Hospitalet de Llobregat, un’ex area industriale di epoca franchista, dove architetture dure e funzionali, allora destinate alla produzione tessile, accolgono atelier di talenti internazionali. È qui che si è riaccesa in lui una nuova urgenza narrativa, insieme a quell’immaginario che da sempre condivide con il curatore: l’Italia degli anni Settanta, attraversata dal cinema di genere, dalle radio libere, dai fumetti underground, ma anche da un senso diffuso di paura, violenza e tensione.
Anni di polizieschi e commedie amare, in cui le città diventavano scenari inquieti e le colonne sonore di Micalizzi, Umiliani, Piccioni e Trovajoli, tra funk, jazz e accordi stridenti, restituivano l’aria opaca di un Paese fragile. Quel clima riaffiora specialmente nei dipinti dedicati ai quartieri di Città Studi, tra Piazza Aspromonte e Viale Lombardia, costellati di alberghi modesti, a una stella, come l’Hotel Tirreno, il Capri o l’Acapulco, dalle stanze minime, abitate per poco, tra amori frettolosi, lavori notturni, piccoli drammi e i perpetui rimorsi di protagonisti dimenticati. Non manca una playlist adeguata, disponibile su Spotify, che accompagna in sottofondo la visita.

In effetti in molti si ricordavano un artista diverso, quello delle fortezze e dei castelli, delle finestre murate, delle cupole, e dei fossati senza ponti. Un linguaggio rarefatto, quasi astratto. Qualcosa è cambiato. Barcellona, con la sua luce, deve aver dissolto gli spigoli. Le linee si sono fatte più istintive e carnali. I muri si sono animati di scritte, e sul tavolo c’è da mangiare. Soprattutto sono tornati gli umani, con addosso la fatica dei giorni. E noi siamo lì, insieme a loro, personaggi dalle vittorie incerte, ma ancora in cammino.

Qualcuno sostiene che Marrapodi sia un pittore d’altri tempi, lontano dalle prescrizioni dell’arte contemporanea, che affronta contenuti demodé. Non sono d’accordo, piuttosto è vero il contrario: la sua è una pittura impietosa, e proprio per questo attualissima. Chiede di essere guardata senza difese, accettandone la malinconia brutale, cogliendone il realismo poetico. Ci vuole coraggio, andate a vederla.














